Titoli bancari e spread al centro dell’attenzione nell’ultima settimana a regime pieno prima della pausa natalizia. Oltre a Manovra e Popolare di Bari, in focus dazi e sterlina
Ok al decreto per salvare Banca Popolare di Bari
Da Banca Popolare di Bari possono tirare un sospiro di sollievo, almeno per il momento. Dopo due giorni di scontri accesi all’interno della maggioranza, ieri in serata il governo ha approvato un decreto per stanziare 900 milioni per Invitalia affinché finanzi il Microcredito centrale e gli consenta di acquisire quote della banca.
Tra gli obiettivi c’è quello di creare una banca d’investimento, che nascerebbe dalla “scissione” delle acquisizioni fatte dal Mediocredito centrale, e di sostenere le imprese del Mezzogiorno. Nei prossimi giorni saranno definiti i termini del piano industriale per il rilancio dai commissari della banca, Mediocredito centrale e Fondo mcc e il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), che interverrà con sue risorse.
La crisi è partita venerdì sera, quando Banca d’Italia ha deciso la messa in amministrazione straordinaria di Banca popolare di Bari con la nomina di due commissari, Antonio Blandini ed Enrico Ajello, che sostituiscono il cda guidato da Vincenzo De Bustis.
Le ragioni? Anni di crisi economica uniti a una gestione sulla quale ora indagano la Procura, la Consob e Bankitalia che hanno fatto accumulare perdite, su perdite, fino ad arrivare a oltre un miliardo. I nodi sono venuti al pettine lo scorso giugno, in occasione della relazione semestrale, quando la Popolare di bari ha dovuto dichiarare indici patrimoniali sotto ai minimi regolamentari, ammettendo che “la situazione patrimoniale fa emergere dubbi significativi sulla capacità del gruppo di continuare la propria attività operativa in un’ottica di funzionamento in un futuro prevedibile”. Per il 2019, poi, sono stimate nuove perdite pari a circa 400 milioni.
Fast Brexit? La sterlina vola
Sterlina in volata, sopra 1,34 contro dollaro americano, dopo il risultato elettorale che ha consegnato nelle mani dei Conservatori e del premier Boris Johnson una solida maggioranza. Ora il mercato scommette non soltanto sulla Brexit, ma addirittura su una fast Brexit, così come promesso dal vincitore delle elezioni. Il 31 gennaio il Regno Unito uscirà dalla Ue, e dunque dall’area di libero scambio, e avrà un anno di tempo fino, al 31 dicembre 2020, per completare l’addio con accordi commerciali. Intanto, una sterlina forte agevola la bilancia commerciale della Gran Bretagna che vive ormai quasi esclusivamente di terziario (i servizi rappresentano l’80 per cento del Pil) e quindi potranno importare merci a prezzi più bassi. A essere penalizzati i turisti e chi si è trasferito in Gran Bretagna, soprattutto a Londra, che risulterà ancora più cara. Indicazioni sul futuro del Paese, potrebbero arrivare dal Comitato di politica monetaria della Bank of England, che si riunirà giovedì prossimo alle 13, lasciando molto probabilmente i tassi inalterati allo 0,75 per cento.
Dazi, tregua ma la guerra non è finita
Sulla guerra commerciale non si può abbassare la guardia, perché il presidente Usa, Donald Trump, ci ha abituati ai colpi di scena. Un primo risultato, però, è stato ottenuto e ieri non sono scattati nuovi dazi su merci cinesi. Anche Pechino ha deciso di sospendere le nuove tariffe sui prodotti americani e l’annuncio è stato fatto da cinque negoziatori della squadra guidata dal vice premier, che portano avanti le trattative con gli Usa. Donald Trump, sempre su Twitter, ha confermato la sospensione delle tariffe Usa al 15 per cento su quasi 160 miliardi di dollari di prodotti provenienti dalla Cina, previste a partire dal 15 dicembre prossimo, a cui Pechino avrebbe risposto con tariffe su 3.300 prodotti statunitensi. Il testo della fase 1 prevede, quindi, oltre il congelamento di questi ultimi dazi anche i trasferimenti di tecnologia, la proprietà intellettuale, i prodotti alimentari e agricoli, i servizi finanziari e l’espansione del commercio. Si procederà a piccoli passi, infatti, sempre su Twitter, il presidente Usa ha sottolineato che i dazi al 25 per cento su 250 miliardi di dollari di importazioni cinesi “rimarranno come sono”, mentre verranno ridotte al 7,5 per cento le tariffe su “molto del resto”, per un totale stimato in 120 miliardi di dollari di prodotti cinesi.
La disputa potrebbe, però, spostarsi sull’Europa. La Casa Bianca sta, infatti, sta valutando dazi anche fino al 100 per cento su ulteriori prodotti europei, in seguito alla decisione della Wto sulla disputa fra Boeing e Airbus. Potrebbero venir tassati prodotto come il whisky e cognac irlandesi e scozzesi, ma anche vini e formaggi, inclusi quelli italiani. La lista americana potrebbe anche arricchirsi di nuove merci made in Europe.
Manovra, round finale
Siamo alle battute finali per l’approvazione della Legge di Bilancio. Dopo un weekend di lavoro serrato per l’esecutivo, terminato con il Consiglio dei ministri di ieri, è attesa per oggi la presentazione del maxiemendamento sul quale è scontata la richiesta del voto di fiducia. Giovedì scorso c’è stato il via libera della Commissione Bilancio e il maxiemendamento dovrebbe, per prassi, recepire quel testo già approvato, mentre la Ragioneria generale ha il compito di verificare l’adeguatezza delle coperture delle modifiche introdotte nell’ultimo passaggio. L’esito del voto è previsto per il primo pomeriggio poi, se non ci saranno intoppi, passerà alla Camera in seconda lettura e in modo “blindato”, per l’approvazione definitiva.
Rimane l’incognita sull’emendamento “ammazza trading”, presentato nei giorni scorsi da Fratelli d’Italia, con l’imposizione di una tassa pari allo 0,04 per cento (nel testo iniziale allo 0,4 per cento) su tutte le transazioni con cfd, “indifferentemente dalla natura dell’attività sottostante che determina la variazione di valore nei contratti per differenza”. L’emendamento è ancora presente nel maxiemendamento che dovrebbe arrivare oggi in Aula ma secondo fonti vicine al Governo potrebbe essere cancellato.
PMI in focus
Una carrellata di dati macro in questa settimana, prima della pausa natalizia, che serviranno a impostare il quadro generale entro il quale ci si muoverà nel 2020. Si parte oggi con i PMI rilasciati da Ihs Markit sui settori manifatturiero e servizi dell’area euro, per poi proseguire, mercoledì prossimo, con l’indice Ifo tedesco sulla fiducia delle imprese. Quanto all’Italia, oggi è atteso il dato sul debito pubblico in ottobre, previsto in lieve calo a 2.439,2 miliardi, contro i 2.462,6 miliardi del mese prima. Domani avremo la bilancia commerciale, mentre la fiducia dei consumatori e quella manifatturiera sono in arrivo giovedì 19.
Negli Stati Uniti si guarderà soprattutto alla produzione industriale (martedì) e al reddito e spesa delle famiglie (venerdì). Oltre alla BoE, si riunirà anche la Bank of Japan (giovedì) e le Banche centrali di Messico, Norvegia e Svezia. Quest’ultima dovrebbe alzare i tassi di 25 punti base, ponendo fine all’era di tassi negativi.