Il tema dei crediti deteriorati è stato sempre centrale nella valutazione delle banche e nell’ambito della vigilanza da parte delle autorità di regolamentazione. Ancor di più dopo la grande crisi del 2008, innescata dai mutui subprime e che ha portato a galla una quantità enorme di posizioni problematiche nell’attivo degli istituti di credito. Da allora i regolatori hanno stretto moltissimo sui criteri patrimoniali a cui le aziende di credito devono attenersi, il che ha determinato una maggiore robustezza nell’ossatura economico, patrimoniale e finanziaria delle banche, tale da resistere a qualsiasi intemperia nei mercati. Tuttavia, le turbolenze degli ultimi tempi, con il fallimento di tre importanti istituti finanziari negli Stati Uniti e con la fusione delle due principali banche svizzere, hanno riportato l’argomento dei crediti deteriorati di grande attualità.
Crediti deteriorati: definizione e caratteristiche
Per crediti deteriorati o non performing loans (NPL) si intendono le componenti dell’attivo patrimoniale delle banche, come mutui e finanziamenti, che probabilmente non saranno rimborsati in tutto o in parte dai debitori. In sostanza, si tratta di crediti la cui riscossione presenta incertezze sia per ciò che riguarda la scadenza, che per quel che attiene l’entità economica. Le banche, quindi, molto probabilmente andranno incontro a delle perdite; pertanto, in bilancio sono tenute a contabilizzare le svalutazioni dell’attivo attraverso il “fondo svalutazione e rischi su crediti”. Quanto è la parte che ogni anno viene accantonata dipende ovviamente dalla misura dei crediti deteriorati. Una volta che si rende concreta la possibilità di non poter più riscuotere i crediti, a quel punto si rileva la perdita in bilancio, togliendoli dall’attivo dello Stato Patrimoniale.
Prima che si manifestino le perdite, le aziende di credito devono cercare di risolvere la questione degli NPL in bilancio. Al riguardo, possono o tentare di recuperare quanto spettante oppure cedere le posizioni a terzi a prezzi anche considerevolmente più bassi, dal momento che queste incorporano il rischio di inesigibilità. In questa seconda situazione, una banca deve rapportare il costo che sosterrebbe dalla vendita a prezzo di saldo con quello calcolato statisticamente sulla probabilità di non ottenere indietro il denaro prestato. In Italia la situazione è particolarmente complicata, perché vi sono da considerare i tempi burocratici per il recupero dei crediti, il che si traduce in spese legali troppo alte, facendo propendere gli istituti finanziari alla fine a cedere gli attivi.
Crediti deteriorati: 3 categorie
I crediti deteriorati possono essere distinti in tre categorie, a seconda del rischio incorporato in ognuno di essi, valutato tenendo in considerazione svariati criteri come la storia creditizia dei debitori e le garanzie che sono state offerte. Pertanto si avranno:
- crediti in sofferenza;
- inadempienze probabili;
- esposizioni scadute e/o sconfinate
I crediti in sofferenza riguardano le esposizioni che non presentano alcuna certezza di riscossione in quanto i debitori sono insolventi, benché ciò non sia stato accertato giuridicamente. Quando le banche segnalano un credito in sofferenza devono darne comunicazione a tutti gli obbligati su quella posizione, compresi i garanti. A meno che il deterioramento non derivi da rischi non attinenti alla capacità del soggetto di adempiere alla propria obbligazione, come ad esempio il rischio paese. La sofferenza di un credito non si ha quando il debitore non rispetta qualche scadenza o è in ritardo nei pagamenti, ma è relativa a una situazione di oggettiva possibilità che il credito non venga riscosso.
Le inadempienze probabili fanno riferimento a situazioni ancora più gravi, perché scaturiscono da una condizione debitoria del cliente ormai compromessa e dove vi sono poche probabilità che la situazione venga risolta in maniera diversa dell’inadempienza.
Le esposizioni scadute e/o sconfinate alludono allo stato peggiore in cui si può trovare l’attivo di una banca, riflettendo l’inadempimento ormai avvenuto oppure dato per certo sulla base delle scadenze che non sono state onorate.
Il CRIF
I crediti deteriorati hanno un rapporto molto stretto con la Centrale Rischi Finanziari, un istituto creato dalla Banca d’Italia per sorvegliare sulla stabilità del sistema bancario. In breve, le posizioni debitorie inadempienti vengono segnalate dalle banche presso la Centrale Rischi, così ogni soggetto problematico viene come schedato in ottica di ricevere altri finanziamenti da parte del circuito bancario e creditizio. Una persona che si è mostrata un cattivo pagatore può uscire entro certi tempi tecnici dal suo status se rimette a posto la sua posizione o dimostra che la segnalazione sia stata frutto di un errore da parte dell’intermediario finanziario.
I Fondi Atlante
In Italia nell’aprile del 2016 il governo è intervenuto con la finalità di assicurare una certa stabilità finanziaria in rapporto ai crediti deteriorati. Al riguardo, è stato costituito un fondo di investimento alternativo, chiuso e riservato dalla Quaestio SGR, con il supporto della Fondazione Cariplo e il sostegno del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il fondo si chiamava Fondo Atlante 1, mentre a distanza di pochi mesi è stato fondato anche il Fondo Atlante 2. Il nome deriva dalla mitologia greca e richiama il titano condannato da Zeus a reggere la volta celeste. In sostanza, ciò esprimeva la resilienza del sistema bancario di fronte alla crisi.
Il Fondo Atlante 1 aveva lo scopo di sostenere la ricapitalizzazione delle banche che avevano in bilancio una quantità elevata di crediti in sofferenza. Il Fondo Atlante 2 si poneva come obiettivo quello di rilevare i crediti deteriorati e gli asset in qualche modo legati agli NPL. La dotazione patrimoniale dei fondi arrivava in maniera preponderante dalle due big bank italiane Intesa Sanpaolo e UniCredit, con il contributo di Cassa Depositi e Prestiti e altri investitori privati. Il rendimento del fondo era di circa il 6% l’anno, quindi molto interessante per gli investitori, in un periodo in cui i tassi d’interesse erano molto bassi. Le dotazioni però alla fine sono risultate inadeguate per gestire i salvataggi bancari come quelle di Veneto Banca e della Banco Popolare di Vicenza. Per questo, da qualche anno dei Fondi Atlante non si sa più nulla, il che conferma che l’istituzione degli stessi aveva più una funzione segnaletica di protezione al mercato che operativa.