L’Europa rischia di essere travolta da un debito di 500 miliardi di dollari questo inverno. È quanto previsto dagli analisti di Barclays, considerando quanto sta spendendo per far fronte alla crisi energetica. Da quando le bollette sono aumentate in maniera spropositata, tutti i principali Paesi del Vecchio Continente hanno cercato di correre ai ripari. La Germania ha introdotto aiuti statali per abbassare il costo delle fatture energetiche, sovvenzioni e un freno ai prezzi del gas. La Francia ha stabilito un price cap ai prezzi del combustibile, oltre il quale vi è l’intervento statale. Mentre l’Italia ha stanziato miliardi per sostenere gli sconti sulla benzina. Tutto ciò implica che gli Stati dovranno emettere nuovi titoli del debito pubblico.
La domanda principe è: chi li compra? Da quando l’ex-Governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi ha lanciato il Quantitative Easing nel 2015, l’Europa ha potuto dormire sonni tranquilli, perché tanto c’era chi copriva qualsivoglia turbolenza di mercato. Ma ora che l’inflazione più alta degli ultimi 40 anni ha costretto la BCE a porre termine alla bambagia monetaria, rimane un interrogativo grande come una casa su cosa succederà nel mercato delle obbligazioni pubbliche europee.
Debito Europa: il nodo BCE
L’Eurotower dovrà ridurre il suo bilancio, dando vita a quello che viene denominato Quantitative Tightening (QT), in aggiunta alle strette sui tassi d’interesse. Ciò significa che non solo Francoforte non rinnoverà l’acquisto dei titoli pubblici che giungono a scadenza, ma comincerà a vendere quelli che ha in portafoglio. La tempistica sarà più che mai importante in questo periodo storico in cui la situazione generale rimane depressa con l’incombere di una recessione. E qualsiasi mossa fatta nel momento sbagliato rischia di produrre un effetto tellurico di proporzioni inimmaginabili.
C’è anche la possibilità che il QT sia addirittura più aggressivo del previsto, sebbene anche i membri del Board più intransigenti come il Presidente della Bundesbank Joachim Nagel hanno cercato di rassicurare circa la gradualità del restringimento monetario. Di certo gli investitori in questo contesto difficilmente si accontenteranno di rendimenti limitati, dal momento che non possono contare più sullo scudo della BCE. La posta in gioco si fa quindi più alta, in modo particolare per i Paesi altamente indebitati.
L’Italia il Paese più a rischio
È chiaro che in questo contesto sotto l’occhio del ciclone va a finire l’Italia che, vista la mole del suo debito, è quella più a rischio. Secondo gli analisti di Citigroup, entro l’inizio del 2023 lo spread dei BTP decennali rispetto ai bund tedeschi dovrà allargarsi a 275 punti base per invogliare gli investitori a comprare il debito italiano. Un livello che suonerebbe come un campanello d’allarme per Bruxelles. La banca d’affari americana stima che il fabbisogno netto di casa dell’Italia sarà destinato ad aumentare di 48 miliardi di euro.
Flavio Carpenzano, direttore degli investimenti di Capital Group a Londra, ha affermato che “in un ambiente dove i Governi europei emettono più debito per affrontare la crisi energetica e in corso vi è una stretta quantitativa, il costo del denaro aumenterà in modo massiccio e i mercati inizieranno a mettere in discussione la sostenibilità del debito in Paesi come l’Italia”. A giudizio di Ario Emami Nejad, gestore di fondi presso Fidelity International, “è improbabile che i BTP siano scambiati vicino a 150 punti base in modo sostenibile, poiché alla fine è necessario prezzare tutti i rischi di coda della stretta quantitativa e dell’emissione con un rialzo limitato”.