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Fondi PIR: cosa sono e come funzionano

Fondi PIR: cosa sono e come funzionano

I Piani Individuali di Risparmio, abbreviati in PIR, nascono per permettere alle persone comuni di investire nelle piccole e medie imprese e allo stesso tempo per consentire a queste ultime di ottenere la liquidità necessaria per gli investimenti di lungo termine. Grazie ai vantaggi fiscali, questi strumenti hanno riscosso un interesse crescente nel tempo da parte degli investitori. La forma più diffusa attraverso cui si costituiscono i PIR è quella dei fondi d’investimento, detti anche fondi PIR o fondi compliant. Entriamo quindi nel dettaglio, per scoprire le caratteristiche principali dei fondi PIR e quali benefici sostanziali apportano per i risparmiatori.

 

Fondi PIR: caratteristiche e funzionamento

I PIR sono stati introdotti in Italia con la Legge di Bilancio 2017 e consistono in una forma di investimento in azioni e obbligazioni di piccole e medie imprese, beneficiando di agevolazioni fiscali a certe condizioni. Il vantaggio fiscale consiste nella detassazione totale delle remunerazioni derivanti dagli investimenti sotto forma di interessi, dividendi e capital gain, nonché nell’esenzione dell’imposta di successione. Il risparmio fiscale è notevole, perché in Italia le rendite finanziarie normalmente sono tassate con un’aliquota del 26%. Di conseguenza, il rendimento dell’investimento è più alto rispetto a quello di altri strumenti finanziari, a parità di condizioni. Questo incentiva i risparmiatori all’investimento e incoraggia le imprese a collocare i propri titoli sul mercato accedendo a un canale importante di finanziamento.

La forma che possono assumere i PIR varia dai conti titoli, alle gestioni patrimoniali e soprattutto ai fondi PIR. I fondi PIR investono in azioni, obbligazioni, ETF, depositi e conti correnti, ma devono rispettare alcune condizioni necessarie per poter usufruire dei vantaggi fiscali:

 

  • il 70% del capitale raccolto deve essere destinato a società italiane o europee con presenza in Italia;
  • almeno il 25% del 70% del capitale di cui sopra – ossia il 17,5% del totale – deve essere investito in titoli emessi da società quotate ma non comprese nell’indice FTSE Mib oppure in un equivalente indice estero;
  • almeno il 5 del 70% del capitale di cui sopra – ossia il 3,5% del totale – deve essere investito in titoli di società con capitalizzazione di mercato relativamente bassa non incluse negli indici FTSE Mib e FTSE Mib Cap;
  • l’importo investito in un singolo emittente non deve essere superiore al 10% dell’importo aggregato;
  • i fondi pensione e le casse previdenziali non possono investire più del 10% del loro patrimonio complessivo in gestione in uno o più fondi PIR.

 

Oltre queste condizioni che riguardano la composizione del portafoglio, ne devono ricorrere altre per poter usufruire dell’agevolazione fiscale, come di seguito illustrato:

 

  • la sottoscrizione dei PIR può essere effettuata solamente da persone fisiche residenti in Italia, eccezion fatta per i fondi pensione e le casse previdenziali, che però beneficiano dell’esenzione fiscale in maniera ridotta;
  • l’ammontare massimo che è possibile investire nei PIR da parte di ciascuna persona fisica non può oltrepassare i 40 mila euro l’anno, con un limite complessivo di 200 mila euro. Mentre la quota minima non può essere inferiore a 500 euro;
  • ogni persona può essere titolare al massimo di un solo PIR e deve mantenere l’investimento per almeno cinque anni, tenuto conto che tali strumenti non hanno una scadenza. Tuttavia, la vendita anticipata degli strumenti finanziari compresi nel fondo non comporta la perdita dei benefici fiscali se quanto ottenuto viene reinvestito in strumenti finanziari equivalenti entro un tempo di 90 giorni.

Gli svantaggi

L’indubbio vantaggio fiscale che determina l’investimento nei fondi PIR viene almeno in parte compensato da alcuni inconvenienti e rischi che si presentano.

Il primo consiste nel fatto che i costi di gestione sono mediamente più elevati rispetto ad altri prodotti con caratteristiche simili come gli ETF ad esempio. Alla fine, negli investimenti di lungo periodo tali spese hanno un peso rilevante, al punto che a volte coprono i vantaggi legati ai benefici fiscali. A questo si aggiunge anche che le strutture di costo non sempre sono trasparenti.

In secondo luogo, vi è un problema di liquidità, perché gli investimenti sono indirizzati in gran parte in azioni e obbligazioni di imprese di minori dimensioni e non quotate.

In terzo luogo, le quote dei fondi PIR, seppur investite in un numero di imprese relativamente ampio, sono destinate ad aziende italiane, con la conseguenza di una scarsa diversificazione di portafoglio e l’aumento del rischio. Ciò è reso ancora più vero dal fatto che il panorama delle piccole e medie imprese in Italia è molto complesso, articolato e volatile, al che non è sempre agevole valutare l’entità del rischio se in materia non si dispone di una certa esperienza professionale.

Infine, l’incentivo fiscale è subordinato alla detenzione dell’investimento per almeno 5 anni, il che implica il pagamento dell’aliquota del 26% se il risparmiatore si trova nella condizione di necessitare di liquidità prima del tempo.

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Redazione

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