Pasquale Tridico, il Presidente dell’INPS, ha pubblicato per Solferino un libro dal titolo Il lavoro di oggi, la pensione di domani nel quale analizza la riforma del sistema previdenziale, auspica un “restyling” del welfare e ammonisce che “in una società solidale come la nostra, non possiamo permetterci di avere individui con pensioni al di sotto della soglia di sopravvivenza”. Il riferimento è alla pensione minima, un pilastro dello stato sociale sempre più stravolto dalle sperequazioni tra le categorie di lavoratori e la stretta sui conti pubblici. Ma a chi spetta il trattamento minimo e soprattutto a quanto ammonta l’assegno al giorno d’oggi?
A quanto ammonta la pensione minima?
In Italia nel 2023 la pensione minima ammonta a 563,73 euro, rivalutata con un aumento mensile di 38,35 euro rispetto ai precedenti 525,38 euro del 2022. Alla fine del 2023, la minima arriverà a 572 euro e a 600 euro per gli over 75, con una crescita di un ulteriore 6,4%. Il totale annuale è di 7.328,49 euro. La rivalutazione piena, grazie alla perequazione automatica e al contributo stabilito dal governo nella manovra di bilancio, è pari al 7,3%.
È stato il cedolino della pensione di marzo a riportare anche gli aumenti già previsti per gli arretrati dei mesi di gennaio e febbraio e che sono confermati per tutto l’arco del 2023. Nel 2024 viene riconosciuto un ulteriore 2,7% di aumento per le minime inferiori a 563,73 euro da sommare all’indice ISTAT. Con questo ulteriore incremento di 8,45 euro, la soglia della pensione minima arriva a 572,18 euro. Chi percepisce un assegno di importo compreso tra 563,73 e 572,18 euro riceverà un incremento parziale, pari alla differenza tra 572,18 euro e la pensione effettivamente percepita.
Pensione minima: i requisiti per averla
La pensione minima è un’integrazione introdotta nel 1983 con la legge n. 638 dell’11 novembre per tutelare i pensionati che hanno maturato il diritto alla pensione, ma il cui importo è inferiore al cosiddetto trattamento minimo, ovvero una soglia di reddito stabilita per legge che lo Stato fissa come base per garantire una vita dignitosa. Se la pensione è al di sotto di questa soglia, scatta l’integrazione che permette all’assegno di arrivare alla quota minima.
Questa pensione varia di anno in anno (in quanto collegata direttamente alla variazione dell’indice ISTAT sul costo della vita) e viene riconosciuta in forma completa agli ex lavoratori dipendenti e autonomi che hanno un reddito pensionistico di importo inferiore al trattamento minimo e hanno una pensione di:
- vecchiaia;
- anzianità anticipata;
- invalidità;
- indennità;
- reversibilità.
La pensione minima non è quindi direttamente legata al numero di anni di contributi versati (servono comunque almeno 20 anni di contributi e aver raggiunto i 67 anni d’età per ottenere la pensione di vecchiaia) né al lavoro che si faceva prima di andare in pensione. Un requisito essenziale per avere la minima completa è appartenere al regime retributivo o a quello misto, quindi che almeno una parte della pensione percepita sia stata calcolata con il sistema retributivo. Chi riceve un assegno previdenziale calcolato con il sistema contributivo puro, ossia coloro che hanno iniziato a lavorare e versare i contributi dopo il 1° gennaio 1996, è escluso dall’integrazione, fatta eccezione per Opzione donna. Sono esclusi anche gli iscritti alla gestione separata dell’INPS.
La minima è invece riconosciuta in forma parziale se il reddito del pensionato è compreso tra il trattamento minimo e il suo doppio. Questo tipo di integrazione è stabilita partendo dalla moltiplicazione per due della pensione minima annua fissata dall’INPS, sottraendo a questa cifra il reddito percepito dal pensionato e dividendo il risultato per tredici mensilità. La formula per questo calcolo è la seguente:
- pensione minima annua (7.328,49 euro) × 2 − reddito del pensionato ÷ 13
Il calcolo specifico dell’importo dell’assegno sociale dipende dal reddito e dallo stato personale, cioè se si è single o sposati. Un pensionato celibe, con un reddito annuale che non supera i 7.328,49 euro, ha diritto all’integrazione totale della pensione fino a 563,73 euro al mese. Una pensionata nubile, con un reddito annuale compreso tra i 7.328,49 e i 14.656,98 euro, ha diritto ad un’integrazione parziale, calcolata con la formula vista in precedenza.
Chi non ha versato i contributi e quindi non riceve una pensione, la minima o l’integrazione, può fare richiesta per l’assegno sociale. Naturalmente i pensionati che superano i 14.656,98 euro di reddito l’anno non possono fare domanda all’INPS per questo tipo di pensione. Va specificato che sono esclusi dal calcolo del reddito per richiedere la minima i redditi:
- della casa in cui si vive;
- esenti da IRPEF (pensioni di guerra e di invalidità civile, rendite INAIL);
- delle pensioni integrabili al minimo;
- degli arretrati soggetti a tassazione separata come il TFR o altri arretrati di lavoro.
In base ai dati dell’INPS relativi al 2021, in Italia si contano 8,6 milioni di persone con una pensione compresa tra 500 e 1.000 euro mensili e 5 milioni di persone con un trattamento fino a 500 euro, pari al 59,2% del numero totale delle pensioni erogate. Secondo uno studio del 2020 dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, portare il trattamento minimo a 1.000 euro mensili costerebbe alle casse pubbliche 19,5 miliardi.