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Bitcoin: Fidelity li aggiunge nei piani 401 (k), cosa significa per le criptovalute?

Fidelity aggiunge Bitcoin nei piani 401 (k), cosa significa per le criptovalute?

Fidelity ha annunciato che inserirà Bitcoin in alcuni piani 401 (k) che gestisce. Dave Gray, responsabile delle offerte e piattaforme pensionistiche dell’azienda finanziaria, ha affermato che Fidelity considera la tecnologia blockchain e le risorse digitali una parte molto importante del futuro del settore finanziario. Quindi presto i lavoratori dipendenti potranno avere a disposizione un modo per investire in Bitcoin attraverso conti digitali dedicati. Tali conti conterrebbero sia valute digitali che investimenti nel mercato monetario.

Bitcoin sarebbe custodito da Fidelity nella sua piattaforma di risorse digitali. Per la custodia, l’amministrazione e la contabilità, la società addebiterà una commissione che varia da 0,75 a 0,90 punti percentuali. I dipendenti possono versare fino al 20% dei loro saldi 401 (k) nei conti, ma i datori di lavoro hanno la facoltà di fissare un limite inferiore.

Il primo importante datore di lavoro è stato già conquistato. Si tratta di MicroStrategy, da sempre sostenitore di Bitcoin e che al riguardo detiene nel suo bilancio aziendale circa 125 mila unità. La società guidata da Michael Saylor ha spinto per l’adozione della principale criptovaluta nei 401 (k) da giugno 2021 e ora inizierà ad offrire l’account Bitcoin entro la fine dell’anno in corso. Fidelity comunque mira a espandere gli account a diversi sponsor del piano entro la metà dell’anno.

 

Bitcoin nei piani 401 (k): la questione normativa

Fidelity oggi è il più grande amministratore del piano 401 (k), supervisionando circa 2.700 miliardi di dollari distribuiti su 20,4 milioni di investitori, stando ai dati del 31 dicembre del 2021. La maggior parte del denaro è detenuta in fondi comuni d’investimento, azioni e obbligazioni. Con l’ingresso di Bitcoin si attua una vera e propria rivoluzione, segnando un’altra tappa importante verso la maturazione dell’industria crittografica. Questo potrà fungere da apripista al vasto mercato dei risparmi pensionistici per entrare nel mondo dei token digitali.

Ad ogni modo tutto potrebbe non andare così liscio, soprattutto dal punto di vista normativo. Il Dipartimento del Lavoro americano il mese scorso si era espresso in maniera netta, sottolineando come i datori di lavoro devano esercitare estrema cura prima di aggiungere criptovalute come opzione di un piano pensionistico. La preoccupazione di fondo è che le valute digitali per loro natura sono contrassegnate da una volatilità eccelsa ed esposte a rischi di frodi, furti e raggiri, il che metterebbe a rischio il patrimonio dei dipendenti. Il Dipartimento ha concluso dicendo che avrebbe indagato sui piani pensionistici che offrivano criptovalute, per chiarire come intendevano conciliare questo con i loro doveri di prudenza e lealtà di fronte ai rischi.

Fidelity comunque non è il primo amministratore di piani pensionistici disposto a offrire criptovalute come opzione ai datori di lavoro. Lo scorso anno c’è stato ForUsAll, che ha collaborato con Coinbase per permettere ai partecipanti ai piani pensionistici di investire fino al 5% dei loro risparmi in criptovalute. La mossa di Fidelity però rappresenta una svolta, sia per le dimensioni del gestore che per i tempi di maturazione a cui sono giunte oggi le criptovalute.

 

AUTORE

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Johnny Zotti

Laureato in economia, con specializzazione in finanza. Appassionato di mercati finanziari, svolge la professione di trader dal 2009 investendo su tutti gli strumenti finanziari. Scrive quotidianamente articoli di economia, politica e finanza.

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