Il sistema dei buoni pasto è da tempo al centro di feroci discussioni, non solo da parte dei lavoratori che vorrebbero questo fringe benefit in busta paga, così da adoperarlo come vogliono, ma soprattutto dal lato esercenti. I bar, ristoranti e supermercati convenzionati, dove è possibile spendere i voucher in pausa pranzo o per la spesa, hanno alte commissioni da pagare ai fornitori e lunghi tempi d’attesa per l’accredito (ovvero la conversione in denaro) che avviene entro 30 giorni. Ma come funziona per imprese e dipendenti la tassazione nel mondo dei buoni pasto?
Buoni pasto: la tassazione per i lavoratori
I buoni pasto sono apprezzati dai dipendenti delle aziende private e degli enti pubblici perché hanno caratteristiche diverse dall’indennità sostitutiva di mensa erogata in busta paga. Il voucher non incide sull’imponibile fiscale e non costituisce reddito di lavoro dipendente, fino all’importo complessivo per persona al giorno di:
- 8 euro per il formato elettronico (la card o l’app);
- 4 euro per il formato cartaceo (i classici blocchetti tipo assegno).
Il formato del buono incide quindi sul valore esente da tassazione, con i ticket elettronici e digitali che sono più convenienti per le esenzioni fiscali. In aggiunta, un elemento psicologico importante per il dipendente è la libertà di spesa: i lavoratori possono scegliere dove consumare la pausa pranzo in una lunga lista di locali convenzionati oppure utilizzare i voucher per fare la spesa al supermarket.
Il limite di buoni che si possono usare al giorno è fissato a 8 ticket per transazione: i voucher possono essere cumulati e spesi contemporaneamente fino a questo tetto, ma non sono convertibili in denaro, non si possono cedere ad altre persone e non danno diritto al resto in contanti. Un esempio: se piadina e acqua costano 7 euro e si paga con un buono da 8 euro, non si potrà avere 1 euro di resto. Viceversa, se panino e bevanda costano 9 euro e si paga con buono da 8, andrà aggiunto 1 euro per saldare il conto.
Buoni pasto: la tassazione per le aziende
La normativa per i buoni pasto – regolata dall’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), l’articolo 144 del Decreto legislativo n. 50 del 18 aprile 2016 e il Decreto ministeriale n. 122 del 7 giugno 2017 – prevede numerosi vantaggi fiscali per le aziende, i liberi professionisti e i possessori di Partita IVA che usano i voucher.
Acquistando dalle società emettitrici i ticket restaurant per il personale, il datore di lavoro si assicura una serie di sgravi che variano a seconda del tipo di impresa e delle tipologie di buoni:
- per le aziende, il costo dei voucher è deducibile al 100% (fino a 4 euro per i titoli cartacei e fino a 8 euro per quelli elettronici) e l’IVA ha un’aliquota agevolata detraibile al 4%;
- per i liberi professionisti e le ditte individuali (anche senza dipendenti), la deducibilità è al 75% e l’IVA è detraibile al 10% fino a un importo massimo pari al 2% del fatturato.
La soglia di deducibilità del voucher elettronico è cambiata con la Legge di Bilancio 2020, la Legge n. 160 del 27 dicembre 2019. Gli 8 euro per i titoli digitali e i 4 euro per quelli cartacei sono stati introdotti per favorire la digitalizzazione, andando a modificare la precedente impostazione che vedeva una soglia differente: rispettivamente di 7 e 5,29 euro. Quanto alle Partite IVA, l’unico limite è per chi rientra nel regime forfettario: in questo caso, i ticket non possono essere richiesti e utilizzati.
Non va dimenticato che i buoni pasto sono esenti da oneri previdenziali e vengono esclusi dal calcolo del TFR. Ma soprattutto, adottare il servizio sostitutivo della mensa potenzia la reputazione dell’impresa nelle politiche di welfare, migliora la qualità di vita dei lavoratori e fornisce un benefit sicuro e apprezzato dai dipendenti che vedono aumentato il loro potere d’acquisto, specie nei momenti di forte inflazione.
Discorso diverso quello delle commissioni che i commercianti convenzionati (ristoratori, esercenti di bar, catene di supermercati della grande distribuzione e piccoli esercizi commerciali) devono pagare alle società emettitrici. Il servizio ha un costo. L’importo è stabilito nel contratto che viene stipulato tra le parti: nel mercato privato la media arriva al 15% del valore nominale del ticket, con picchi anche del 20%, mentre nelle gare d’appalto pubbliche (bandite dalla Consip, la centrale acquisti per la pubblica amministrazione italiana) il tetto massimo è fissato al 5%.
Naturalmente esistono alcune realtà come Coverflex, sbarcata in Italia nel 2023, che offrono buoni pasto senza commissioni per gli esercenti. Nel caso della società portoghese, l’unica spesa prevista è di 50 euro all’anno e comprende i costi di attivazione, marketing e assistenza.