Criptovalute: il problema ambientale di difficile soluzione - Borsa&Finanza

Criptovalute: il problema ambientale di difficile soluzione

Criptovalute: il problema ambientale di difficile soluzione

Il problema ambientale nell’estrazione delle criptovalute sta sempre più interessando l’opinione pubblica, al punto che i movimenti ambientalisti continuano a esercitare pressioni mai viste sulle società di mining. Queste stanno facendo il possibile cercando di rendere più green le attività, per evitare che le Autorità regolamentari del Paese di appartenenza possano intraprendere azioni repressive che pongano fine ai lauti guadagni finora ottenuti.

In Svezia, vi è una struttura di mining di Ethereum, che viene gestita da Hive Blockchain, azienda canadese specializzata nell’utilizzo di energia pulita nell’estrazione delle criptovalute. Tutto il processo si basa sulla tecnologica proof of work, che però consuma una quantità enorme di energia. L’attività di Hive, svolta nella miniera rappresentata da un edificio simile a un magazzino di 86 mila piedi quadrati, viene alimentata da una centrale idroelettrica nella città militare di Boden. La zona nord della Svezia è molto conosciuta per la capacità di sfruttamento di energia rinnovabile a basso costo. Da quelle parti il totale dell’energia consumata è idroelettrica o eolica.

Tuttavia, la quantità di energia necessaria per eseguire le operazioni di mining delle criptovalute ha messo in preallarme le Autorità svedesi, con Finansinspektionen, l’organismo di vigilanza finanziaria, che ha chiesto all’Unione Europea addirittura di bandire il mining delle valute digitali. L’Agenzia ha affermato che il Paese ha bisogno di energia rinnovabile per essere in linea con gli accordi di Parigi e l’utilizzo da parte dei minatori rischia di compromettere la transizione energetica. Johan Eriksson, consulente di Hive, ha però asserito che in realtà si stia utilizzando capacità energetica in eccesso che altrimenti sarebbe stata sprecata, quindi non viene tolta alle famiglie della Regione.

 

Criptovalute: un passaggio lungo per diventare green

Molti gruppi ambientalisti stanno spingendo affinché i minatori sostituiscano il meccanismo proof of work con quello proof of stake, che eliminerebbe l’enorme costo computazionale per verificare le transazioni crittografiche. Alcune criptovalute si stanno indirizzando verso quel percorso, come ad esempio Ethereum, che secondo alcuni sostenitori potrebbe ridurre di oltre il 99% il consumo di energia. Altre valute digitali come Cardano e Solana già viaggiano sulle reti proof of stake.

Il passaggio però non è semplice, come sottolinea Kirsteen Harrison, consulente per la politica climatica di Zumo, società di criptovalute con sede a Edimburgo. Secondo l’esperto, non esiste un’opzione per eliminare il framework proof of work, perché nessun singolo player ha il controllo del sistema. Comunque vi sono ancora molte società che si trovano lontane dal passare alle energie rinnovabili nella loro attività di mining e usano deliberatamente gas per generare elettricità.

Gli ultimi studi sull’argomento hanno rilevato che, dopo il ban dalla Cina, le criptovalute non sono diventate più verdi ma anzi i miners si sono riversati in Regioni che sono ancora legate molto al carbone e ad altri combustibili. Tra queste Regioni vi sono il Kazakistan e alcuni Stati del Sud degli Stati Uniti come il Texas e il Kentucky. Il problema di fondo è che le criptovalute sono decentralizzate e chiunque potrebbe partecipare alla rete.

AUTORE

Johnny Zotti

Johnny Zotti

Laureato in economia, con specializzazione in finanza. Appassionato di mercati finanziari, svolge la professione di trader dal 2009 investendo su tutti gli strumenti finanziari. Scrive quotidianamente articoli di economia, politica e finanza.

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