La guerra Russia-Ucraina comporterà delle perdite enormi in ogni parte del globo terrestre, soprattutto attraverso il canale delle materie prime di cui i 2 Paesi sono grandi produttori ed esportatori. Ma mentre l’Ucraina è impedita in quanto messa sotto assedio dall’attacco del nemico, la Russia invece potrebbe cadere sotto la furia sanzionatoria dell’Occidente o addirittura auto sanzionarsi chiudendo le forniture. In entrambe le situazioni, la perdita di Mosca non passerebbe certo inosservata. Il Paese guidato da Vladimir Putin è oggi l’undicesima economia più grande del mondo, ma soprattutto il più importante fornitore di energia per l’Europa, che si approvvigiona per circa il 40% del suo fabbisogno. Non solo, la Russia produce circa il 40% del palladio e il 25% del platino a livello mondiale, importantissimi nel settore automobilistico e dei microchip, e il 10% del nichel, utilizzato nelle batterie per le auto elettriche. È un grande produttore di alluminio, usato in ogni ramo del settore industriale, nonché di grano e mais per il comparto alimentare. Rimpiazzare Putin non sarà quindi un gioco da ragazzi, non farlo però significa tenere incatenata l’Europa a un destino di dipendenza che può rivelarsi fatale. Il problema è che la transizione non sarà breve e nel frattempo famiglie e imprese saranno martoriate da prezzi folli che si andranno giocoforza a riflettere sul prodotto finale e quindi sulla sostenibilità dei conti interni.
Materie prime: ecco chi vince
La corsa forsennata delle materie prime comunque non comporta svantaggi per tutti. Alcune Nazioni invece ne trarranno beneficio. I prezzi del petrolio sono arrivati recentemente a circa 140 dollari al barile, come mai è accaduto dal 2008. Questa è sicuramente una buona notizia per l’Arabia Saudita, la cui economia dipende almeno per la metà dal greggio e dal gas naturale. In una posizione migliore si trova l’Iraq, che con il petrolio regge l’85% delle finanze dello Stato. Secondo Monica Malik, capo economista presso la Abu Dhabi Commercial Bank, l’Arabia Saudita passerebbe da un deficit del 4,9% del 2021 a un surplus a 2 cifre nel 2022, se le quotazioni del petrolio si mantenessero in media ad almeno 100 dollari al barile. Questo potrebbe consentire al principe Mohammed bin Salman di realizzare il grande progetto di costruire la città-Stato Neom di cui si discute da diverso tempo, oltre a finanziare le infrastrutture sulle energie rinnovabili dell’era post-petrolio. Gli Stati Uniti in realtà hanno da affrontare il caro-benzina che ha superato i 4 dollari al gallone, livello più alto senza contare l’inflazione dalla grande Crisi del 2008; tuttavia i produttori di scisto beneficiano di un valore dell’oro nero così alto. Occorre ricordare che gli Stati Uniti sono sempre il più grande produttore mondiale e soddisfano con le loro risorse fino al 70% del proprio fabbisogno energetico. Anche l’aumento del gas favorisce i fornitori USA come Cheniere Energy e Cameron LNG, che esportano una quantità maggiore e con profitti più alti di gas naturale liquefatto in Europa.Il prezzo alle stelle del nichel, che ha costretto il London Metal Exchange a sospendere le contrattazioni per diversi giorni, avvantaggia l’Indonesia e le Filippine, rispettivamente il primo e il secondo produttore mondiale. Le Filippine almeno bilanciano in parte il danno subito per il fatto di essere un Paese che importa molta energia. Il Sudafrica brinderà per l’aumento delle quotazioni di palladio, platino, oro e diamanti dei quali è un grande estrattore e che danno un po’ di ossigeno a un’economia messa in ginocchio dal Covid-19, soprattutto con la variante Omicron.Il Canada sarà uno dei più grandi trionfatori dal rialzo delle materie prime. Il Paese nordamericano esporta energia, grano, metalli e potassio. Anche per questo non ha avuto difficoltà a unirsi alle sanzioni durissime che l’Occidente ha imposto alla Russia. Secondo la società di consulenza Capital Economics, dalla guerra Russia-Ucraina, il Canada avrà a marzo il surplus commerciale più alto mai registrato, ammontante a 5 miliardi di dollari canadesi, pari a 3,9 miliardi di dollari USA.