In Italia c’è un deficit assicurativo rispetto agli altri paesi, è cosa nota. Anche chi ha patrimoni elevati e si rivolge, per la loro gestione, all’offerta specialistica dei private banker ritiene, spesso a torto, di poter coprire eventi avversi inattesi con i propri averi. Non è così che si ragiona e il private banking si vuole assumere il compito di farlo capire ai suoi clienti, le cui conoscenze finanziarie sono in media più elevate ma evidentemente non abbastanza.
La presentazione di uno studio congiunto realizzato dall’Associazione italiana private banker (AIPB) e PwC Italia “Private Protection: la nuova frontiera del wealth management” è stata l’occasione per tracciare le linee strategiche lungo le quali gli operatori del settore devono muoversi per offrire questo servizio ai propri clienti.
“Con il cambiare delle abitudini, l’avvicendarsi di fenomeni imprevisti che abbiamo anche vissuto recentemente, quali la pandemia o eventi catastrofali, la copertura dei rischi è diventata un bisogno essenziale da affiancare alla tutela del patrimonio finanziario” ha commentato Mauro Panebianco, partner di PwC Italia, a cui si è aggiunta la voce del presidente di Aipb Andrea Ragaini: “Il Private Banker rappresenta per il cliente un interlocutore di fiducia. Lo accompagna nel tempo e consolida il rapporto nei momenti di difficoltà attraverso incontri frequenti nel corso dei quali non si parla solo di investimenti, ma anche di pianificazione nel suo complesso. La nuova frontiera della consulenza integra la gestione del patrimonio con la copertura assicurativa dedicata alla prevenzione dei rischi non solo finanziari a cui sono esposti i clienti”.
La “scaramanzia” inefficiente degli italiani
Nel presentare i risultati della ricerca, Andrea Ragaini ha iniziato da alcuni dati sulle coperture assicurative in Italia. In particolare, con riferimento al ramo Danni, l’incidenza dei premi sul PIL è in Italia dell’1,1% contro una media del 2,8%. Le ragioni di questa scarsa attitudine ad assicurarsi sono varie, sommariamente riducibili a quattro principali:
- Il ruolo assistenziale svolto dallo Stato;
- La scarsa alfabetizzazione finanziaria;
- La cultura “scaramantica” degli italiani;
- La bassa fiducia in un’offerta troppo frammentata.
A queste ragioni il 54% dei partecipanti alla ricerca aggiunge la convinzione che il proprio patrimonio sia sufficiente a fare fronte alla maggiore parte dei rischi (11% molto d’accordo e 43% d’accordo). Una convinzione che non solo può rivelarsi alla prova dei fatti erronea ma che è anche inefficiente visto che destina a un ruolo di auto-assicurazione dei beni che dovrebbero invece essere destinati a fruttare rendimenti.
Ciò è ancora più grave se si considera, come sottolinea la ricerca, che “con l’età media di circa 60 anni e gli effetti sul patrimonio legati al progressivo allungamento delle aspettative di vita, la mancanza di una pianificazione di lungo periodo rischia di compromettere la solidità e la stabilità della ricchezza di cui si dispone”.

Il ruolo del private banker
“Il Private Banker – ha proseguito Ragaini – rappresenta per il cliente un interlocutore di fiducia. Lo accompagna nel tempo e consolida il rapporto nei momenti di difficoltà attraverso incontri frequenti nel corso dei quali non si parla solo di investimenti, ma anche di pianificazione nel suo complesso. La nuova frontiera della consulenza integra la gestione del patrimonio con la copertura assicurativa dedicata alla prevenzione dei rischi non solo finanziari a cui sono esposti i clienti”.
Se si parte da questa osservazione, per il private banking esiste un ampio spazio per espandere la propria offerta ai servizi assicurativi. Solo una famiglia su quattro infatti, stando ai dati della ricerca, si sente ben protetta mentre il 64% ritiene che prima di parlare di gestione degli investimenti sia necessario pensare alla copertura dei rischi.
Inoltre, il 50% del campione intervistato ha dichiarato che affiderebbe alla propria banca la ricerca di soluzioni assicurative adeguate e il 69% ritiene il private banker un valido interlocutore in merito alla protezione, soprattutto se affiancato da uno specialista (40%).
Offerta assicurativa Danni ancora da costruire
L’esigenza di assicurare il patrimonio da eventi che possano danneggiarlo esiste e la disponibilità a offrire il servizio anche. Tuttavia solo il 12% dei servizi di private banking ha sviluppato un’offerta completa nel ramo Danni e un ulteriore 12% la sta sviluppando. Spesso inoltre si tratta di un’offerta indifferenziata rispetto a quella per il retail le cui necessità sono diverse. Secondo la ricerca i fattori su cui il private banking deve puntare per muoversi nell’ambito della private protection sono:
- Una capacità di analisi dei rischi più accurata frutto di una conoscenza dei bisogni (58% dei rispondenti al sondaggio);
- La possibilità di offrire soluzioni più coerenti e integrate con il patrimonio (54%);
- La capacità di offrire soluzioni più personalizzate rispetto alle esigenze e ai progetti (33%);
- La selezione di polizze con i prodotti migliori delle realtà più specializzate (25%).
Per quanto riguarda il modello distributivo preferito, i private bankers prediligono la soluzione interna nel 44% dei casi, seguita dagli accordi con broker assicurativi per il 22%. Un mix delle due soluzioni è ben accolto dal 17% dei rispondenti.
La ricerca ha indagato la domanda (le famiglie rivate) e l’offerta (gli operatori del mercato). La prima è stata svolta in collaborazione con BVA-Doxa e ha esaminato un panel rappresentativo di circa 700 famiglie con patrimonio finanziario oltre 500.000 euro; la seconda è stata rivolta a 30 operatori del settore Asset & Wealth Management.