A inizio luglio Trail of Bits, società specializzata nella fornitura di consulenza contro il rischio di attacchi informatici, ha diffuso un report commissionato dal Pentagono sui fattori di rischio delle blockchain, concentrandosi in particolare sulle due più diffuse, quella di Bitcoin e quella di Ethereum. Tra i dubbi sollevati dal rapporto: il mito della decentralizzazione; la possibilità di comportamenti scorretti da parte di chi ha il potere di influenzare la blockchain, come per esempio gli sviluppatori; la possibilità di assumere il controllo della catena a blocchi se si dispone di sufficiente potenza di calcolo (hashrate ndr).
Lo studio ha sollevato polemiche tra gli appassionati e gli esperti di criptovalute. Borsa&Finanza, dopo aver dato conto dei risultati della ricerca nell’articolo “Bitcoin & Co., ecco perché le blockchain sono vulnerabili” ne ha interpellato uno: Ferdinando Ametrano, professore di Bitcoin e Blockchain in diverse università italiane tra le quali Milano Bicocca, fondatore e amministratore delegato di Checksig, società che offre soluzioni Bitcoin e cripto per clienti privati e istituzionali.
C’è blockchain e blockchain
Il fattore che Ametrano ha sottolineato sin dall’inizio nel colloquio con Borsa&Finanza è che esistono diversi tipi di blockchain e che il difetto maggiore del report sia di aver fatto di tutta l’erba un fascio. Infatti, ha spiegato l’esperto
“mentre dietro Ethereum c’è la Ethereum Foundation, società ginevrina con un patrimonio di oltre tre miliardi di dollari che attivamente sostiene lo sviluppo tecnologico del protocollo della sua blockchain e agisce anche sul fronte delle pubbliche relazioni, dietro a Bitcoin non esiste alcuna organizzazione centralizzata. Il Bitcoin è un insieme di sviluppatori che manutengono una versione dei codici Bitcoin e a cui viene attribuita una patente di autorevolezza per la loro competenza e indipendenza. Viceversa in Ethereum c’è un prodotto software riferibile a un’azienda che, pure senza scopo di lucro, non può che avere un ruolo di governance e guidance”.
È un passaggio molto importante quello rilevato da Ametrano che poi aggiunge come Bitcoin sia ad oggi l’unica blockchain veramente decentralizzata e quindi l’unica davvero resiliente.
Tutte le blockchain sono manipolabili
In realtà anche la blockchain di Bitcoin è manipolabile. È uno dei pericoli rilevati dal report di Trail of Bits: esiste la possibilità di prendere il controllo di una blockchain e modificarla se si dispone della potenza di calcolo necessaria. Lo ammette lo stesso Ametrano quando afferma che per farlo
“basta il 51% della potenza computazionale, ma direi che più che manipolarla la si può distruggere, in quanto una blockchain manipolabile perderebbe di credibilità”.
Il passaggio fondamentale implicito nelle parole dell’esperto di blockchain e criptovalute è che tecnicamente sia fattibile ma che non ne valga la pena.
“Il mining – riprende – per cui serve la potenza di calcolo di cui sopra, è sempre stato un oligopolio a causa delle elevate economie di scala che richiede, ma gli attori che lo compongono cambiano nel tempo. Inoltre, diventare un attore dominante nel mining di Bitcoin richiede uno sforzo economico e organizzativo tale per cui è difficile pensare che chi ci riesce abbia come obiettivo distruggere la blockchain. L’incentivo che se ne ricava è tutto dalla parte di un utilizzo onesto della catena. Piuttosto il rischio di manipolazione deriverebbe da scelte di tipo regolamentare e di governance per le criptovalute ‘centralizzate’, come tutte quelle minori e forse anche Ethereum”.
Infatti, Vitalik Buterin, il fondatore di Ethereum, la seconda criptovaluta più utilizzata al mondo, ha la capacità e il potere di influenzare e decidere cambiamenti nelle regole del suo network mirati a invalidare singole transazioni ma rimane il fatto che difficilmente vorrebbe fare qualcosa che danneggi la sua blockchain. Bitcoin, in ogni caso, non soffrirebbe di questi personalismi secondo il fondatore di CheckSig.
“Per quello che riguarda il Bitcoin i problemi sollevati dal report sono insignificanti – sottolinea Ametrano – mentre sono più rilevanti per le altre criptovalute. Per esempio, su Ethereum c’è stato in passato un cambiamento del protocollo deciso dagli sviluppatori senza un consenso, così come su criptovalute minori ci sono stati attacchi majority, ossia condotti con il 51% della potenza computazionale. Cose che al Bitcoin non sono mai capitale. Mi spingo a dire che se davvero il Bitcoin fosse attaccabile sicuramente sarebbe stato attaccato. Sono talmente tanti gli interessi che non guardano con simpatia a questo esperimento che se fosse possibile metterlo in difficoltà qualcuno lo avrebbe già fatto”.
Il Bitcoin cammina a strappi
L’ultimo punto toccato nell’intervista a Ferdinando Ametrano riguarda le quotazioni del Bitcoin, che in questi giorni stazionano intorno ai 20.000 dollari dopo la rapida discesa dai massimi a 69.000.
“Chi è sul mercato da più tempo – ha spiegato a B&F Ametrano – ha visto il Bitcoin arrivare a 100 dollari e poi crollare a 20, risalire a 1.200 dollari e poi crollare a 250, arrivare fino a 20.000 dollari nel dicembre 2017 e poi crollare a 3.200. Chi ha iniziato a seguire il suo andamento solo in tempi più recenti lo ha visto arrivare a 69.000 dollari a novembre 2021 e poi crollare a 19.000. Bitcoin cresce a strappi perché mentre sempre più persone capiscono il valore di questa criptovaluta e vi investono, tanti altri che l’hanno acquistata da molti più anni prendono profitto. Voglio ricordare, però, che nell’aprile 2011 il Bitcoin valeva un dollaro e oggi nel vale 20.000. Il Bitcoin è l’asset più performante dell’ultimo decennio. Se si pensa questo si capisce anche perché questa volatilità sia fisiologica. La remunerazione alta ricompensa una rischiosità più elevata. È una regola della finanza”.