Le serie professionistiche del calcio italiano, la A, la B e la C, sono un colabrodo dal punto di vista della gestione aziendale. Il profilo economico-finanziario dei tre massimi campionati ha segnato un rosso di 3,6 miliardi di euro nelle stagioni 2019-2020, 2020-2021 e 2021-2022. A dirlo è il ReportCalcio sviluppato dal Centro Studi FIGC in collaborazione con AREL e PwC Italia. Secondo l’analisi la perdita giornaliera accumulata nel triennio dal calcio professionistico italiano è di 3,3 milioni di euro con un dato medio per singola stagione pari a 1,2 miliardi di euro.
Anche se è necessario tenere conto dell’effetto Covid che ha caratterizzato le tre stagioni, il calcolo effettuato dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio non lascia alcun dubbio sulla necessità di intervenire con dei correttivi su un modello di business in difficoltà da ben prima. Basti pensare che l’ultimo campionato prima della pandemia si è chiuso con una perdita di 412 milioni di euro mentre nei 15 anni dal 2007-2008 al 2021-2022, il rosso è stato di 7,7 miliardi di euro.
Un altro numero preoccupante riguarda l’indebitamento che appare in crescita da 4,8 miliardi del 2018-2019 a 5,6 del 2021-2022. Nella prima stagiona presa in considerazione dal report, il 2007-2008, il debito ammontava a 2,4 miliardi di euro. A fronte di questi debiti, il patrimonio netto a livello aggregato del 2021-2022 si è fermato a 440 milioni di euro in calo del 35,95% rispetto al 2020-2021.
Per quanto riguarda il valore della produzione medio annuo, nel triennio COVID-19 è stato pari a 3,5 miliardi di euro, in diminuzione dell’11,2% rispetto al 2018-2019, ultima stagione pre-pandemia; il fatturato 2021-2022 è pari a 3,4 miliardi, in decremento del 12,0% rispetto al 2018-2019, mentre in confronto tra il 2019 e il 2022 il PIL italiano risulta in crescita dell’1%. Considerando l’impatto della chiusura degli stadi (partite a porte chiuse o con capienze limitate), i ricavi da ticketing sono passati dai 341 milioni di euro del pre COVID-19 ai 266 del 2019-2020 e agli appena 28 del 2020-2021, mentre nel 2021-2022 si è risaliti fino a 254 milioni.

La ragione delle perdite del calcio italiano non è solo il Covid
Anche se la pandemia ha pesato sullo sport e sul calcio più che su altri settori, con la riapertura degli stadi al 100% avvenuta solo dall’aprile 2022, ovvero poco più di un anno fa, uno dei trend che stanno affondando finanziariamente il calcio italiano è quello del costo del lavoro. Nemmeno durante le stagioni del Covid le società di calcio sono riuscite a fermare l’incremento degli stipendi e degli ammortamenti/svalutazioni derivanti dal trasferimento dei calciatori. Il calcio è forse l’unico settore in cui le società in difficoltà non possono ricorrere alla riduzione dei posti di lavoro per diventare più efficienti e così i bilanci si appesantiscono sempre di più.
I ricavi medi per club tra il 2018-2019 e la media del triennio COVID-19 sono diminuiti dell’11,2%, mentre nello stesso periodo il costo del lavoro medio è cresciuto del 9,6% e gli ammortamenti/svalutazioni del 19,5%; il peso del costo del lavoro sul valore della produzione è passato dal 53% del 2018-2019 al 70% del 2021-2022, mentre l’incidenza sui ricavi di vendita (valore della produzione al netto delle plusvalenze) è aumentato dal 69% all’84%.
Il presidente della FIGC Gabriele Gravina ha sottolineato la “necessità di riportare in equilibrio il sistema mettendo sotto controllo i costi e destinando risorse per gli investimenti nei vivai e nelle infrastrutture”. Per Federico Mussi, partner di PwC Italia “si tratta del peggior risultato netto nei 15 anni analizzati dal ReportCalcio, a conferma che il settore continua a manifestare una difficoltà strutturale”.
Serie A, pochi italiani e tanti “anziani”
Puntare sui vivai è più facile a dirsi che a farsi. I costi dell’investimento sono immediati mentre i ritorni arrivano dopo anni e non sono neanche così certi. Ecco perché, in un calcio dove la performance deve arrivare subito e ora, a pena di esclusione dalle competizioni più ricche e per evitare di trovarsi gli ultras davanti alla sede, si tende a puntare sui nomi più famosi mentre i giovani italiani stentano ad emergere.
Anche in questo caso i dati dello studio sono illuminanti. La Serie A è il decimo campionato per età media (26,36 anni) tra i top 31 europei e il terzo per incidenza di presenze straniere (61,7%). Nonché l’ultimo per impiego di calciatori cresciuti nei settori giovanili dei club di appartenenza (solo 8,4%). Ecco alcuni numeri relativi al campionato 2021-2022, l’ultimo analizzato dal report:
- Calciatori italiani under 21: minutaggio complessivo giocato pari all’1,9% del totale del campionato;
- Calciatori italiani over 21: minutaggio complessivo pari al 34,3%;
- Calciatori stranieri under 21: minutaggio complessivo a 2,5%;
- Calciatori stranieri over 21: minutaggio complessivo al 61,3%.
Spesso, per i giovani talenti italiani, la soluzione è ripiegare all’estero o nelle serie minori: tra i 2.405 giovani calciatori (15-21 anni) tesserati per club di Serie A nel 2012-2013, appena 102 (il 4,2%) risultano ancora operanti nella massima serie del calcio professionistico italiano a 10 stagioni sportive di distanza (nel 2021-2022), mentre 90 giocano in Serie B (3,7%), 168 in Serie C (7,0%) e 1.149 nei dilettanti (47,8%); altri 250 calciatori sono finiti all’estero (10,4%), e 646 (26,9%) risultano addirittura svincolati.
Il calcio italiano amplia il divario con in grandi campionati esteri
Purtroppo il problema per il grande calcio italiano non può essere solo il Covid. L’attrattività del massimo campionato ha perso terreno rispetto ai big europei, Premier League e Liga. Persino la Bundesliga nel decennio 2010-2019 sembra aver preso la strada giusta con un calcio che gli appassionati di calcio anche italiani preferiscono rispetti ai ritmi più tattici e lenti della Serie A.
Secondo il ReportCalcio 2023, l’incremento di valore dei diritti media della Serie A tra il 2009 e il 2019 è stato di 398 milioni di euro. Meglio solo di un altro campionato in difficoltà e forse ancora meno spettacolare se si considera il dominio di una squadra ricchissima, la Ligue 1 (+155 milioni di euro di diritti nel periodo). I primi della classe, nell’ordine, sono:
- Premier League: 2.726,7 milioni di euro;
- Liga: +1.149,7 milioni di euro;
- Bundesliga: +997,8 milioni di euro.
Anche se l’incremento del costo del lavoro è risultato maggiore in questi tre campionati, rispettivamente +1.914,4 milioni di euro, +1.139,8 e +960,4 contro i +639,4 milioni di euro del campionato italiano, il rapporto tra incremento del costo del lavoro e crescita dei diritti tv vede l’Italia ancora una volta fare meglio della sola Francia:
- Ligue 1: 394,2%
- Serie A: 160,7%
- Liga: 99,1%
- Bundesliga: 96,2%
- Premier League: 70,2%

Diritti tv, la Lega A fatica a superare il miliardo di euro
La vicenda dei diritti tv per il quinquennio 2024-2029 è emblematica delle difficoltà del massimo campionato italiano nell’ottenere adeguati incrementi dei ricavi dai diritti di trasmissione televisivi. La Lega Serie A ha infatti fissato a 1 miliardi di euro il valore al di sotto del quale non è intenzionata a scendere. Finora, tuttavia, il tre principali competitor per la trasmissione del massimo campionato – DAZN, Sky e Mediaset – sono stati altrettanto intenzionati a non superare quella cifra. Per il triennio 2021-2024 la Lega è riuscita a portare a casa 927 milioni di euro da DAZN e Sky.
Il secondo round di trattative, terminato il 25 luglio, si è concluso con un nulla di fatto e con un prolungamento del periodo di contrattazione fino al 15 ottobre 2023. Nel caso in cui le offerte non dovessero essere riviste al rialzo, la Lega potrebbe andare all’apertura delle buste con le offerte delle società interessate a creare il Canale della Lega.