Non fosse per la straordinarietà della pandemia abbattutasi sul mondo lo scorso anno, le condizioni dello stato di salute del credito globale sarebbero difficili da capire. Secondo quanto riportato nell’ultimo report di S&P Global Ratings , negli ultimi 12 mesi solo il 16% degli emittenti con rating CCC è andato in default. La media storica è del 35%. A portare così fuori la media il tasso sono due variabili, entrambe direttamente legate alla pandemia. La prima va a lavorare sul numero totale di aziende scivolate nella scala del rating fino ad arrivare alla tripla C a causa del grave impatto del Covid sull’economia internazionale. La seconda è legata alle straordinarie politiche monetarie messe in campo dalle Banche centrali a sostegno di economia e mercati.
Partendo da questi presupposti, vi è ora da capire quali potrebbero essere le prospettive per il credito globale. Se la pandemia ha causato il downgrade di società con business relativamente più solidi rispetto a quelle declassate in epoca pre-pandemica, per gli esperti di S&P Global Ratings vi è da tener conto da un lato che “le loro prospettive di recupero potrebbero essere migliori una volta eliminate le attuali restrizioni”, dall’altro ricorda come gli upgrade dalla categoria CCC “richiedono storicamente più tempo negli anni successivi a una grande crisi, poiché è necessario dimostrare che il miglioramento delle metriche di credito è sostenibile nel tempo”.
Vi è poi la variabile più importante da valutare: il comportamento delle banche centrali, vero market mover per tutte le asset class. Il dato particolarmente basso degli ultimi 12 mesi potrebbe rimanere un unicum, specie se “venissero a mancare misure di sostegno chiave come il supporto politico senza precedenti e mercati dei capitali accomodanti, essenziali per le aziende più deboli”. A contribuire a un incremento dei tassi di insolvenza durante il 2022 potrebbe peraltro contribuire un rallentamento tanto della crescita economica globale quanto del processo di delevaraging.