Luci e ombre nel vertice del G20 a Roma durante il weekend, che precede i colloqui sul clima delle Nazioni Unite a Glasgow noti come COP26 nelle prossime due settimane. All’uscita dell’incontro i leader delle maggiori potenze a livello mondiale hanno espresso soddisfazione ma con molta cautela.
Ad esempio il Presidente alla Casa Bianca Joe Biden non ha molto gradito l’assenza fisica del rappresentante della Cina Xi Jinping e del Premier russo Vladimir Putin, che si sono limitati a intervenire virtualmente. “Si sono fatti dei progressi significativi, ma occorre fare di più, per questo bisogna concentrarsi su quello che Russia, Cina e Arabia Saudita non stanno facendo” ha dichiarato Biden alla fine del meeting. Anche il numero uno del Governo Britannico Boris Johnson non è uscito completamente appagato dall’incontro. “Se questi sono gli accordi c’è ancora molta strada da fare al vertice di Glasgow” ha sentenziato.
Attestati di stima invece quelli ricevuti dal Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, da parte soprattutto di Angela Merkel, che di fatto lo ha battezzato come suo erede in qualità di leader carismatico per l’Europa nei prossimi anni, e anche dal Principe Carlo d’Inghilterra. “Sono grato al premier Draghi per aver riconosciuto l’importanza di certi temi e averli messi al centro di questo evento” ha detto Carlo durante il suo intervento. Lo stesso Draghi ha denunciato il rischio di conseguenze disastrose se non vi sarà un intervento tempestivo che coinvolge soprattutto il settore privato.
G20: luci e ombre nel meeting di Roma
Il comunicato finale della riunione ha rilasciato un’intesa di tutti i Paesi partecipanti sul tetto massimo di 1,5 gradi centigradi relativamente al riscaldamento globale, come era stato sancito del resto negli accordi di Parigi del 2015. Al riguardo tutti dovranno impegnarsi per raggiungere le zero emissioni di CO2 entro il 2050. Quindi le Nazioni dovrebbero terminare entro l’anno i finanziamenti alle nuove centrali a carbone. Il documento precisa anche che verranno tenute in considerazione le diversità nelle posizioni da parte di alcuni Stati asiatici come Cina, India e Indonesia. Inoltre conferma un fondo da 100 miliardi di dollari per i Paesi in via di sviluppo. Denaro che arriverà entro il 2023 e non il 2020 come era stato promesso negli anni precedenti.
La situazione di stallo però non è stata del tutto rimossa, anzi. Stati Uniti ed Europa stanno spingendo i Paesi in via di sviluppo a impegnarsi in una riduzione anticipata delle emissioni, ma come risposta hanno trovato la richiesta a un maggiore sostegno finanziario. Trovare un consenso non è facile se si considera che all’interno del G20 sono presenti tra i maggiori inquinatori del mondo.
Nell’accordo ad esempio non è stato compreso l’impegno a eliminare gradualmente l’utilizzo del carbone a livello nazionale e le sovvenzioni per i combustibili fossili. Vi è solo la decisione di fermare il finanziamento pubblico di nuove centrali a carbone all’estero, ma relativamente a impianti che non riescono a catturare e immagazzinare le emissioni di CO2.
Inoltre, è vero che i Paesi membri si impegneranno a intraprendere delle azioni per portare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, ma è altrettanto vero che non sono stati forniti grandi dettagli su come raggiungere tale traguardo. Per ora, secondo i dati rilasciati dall’ONU, con le politiche attuali di riduzione delle emissioni la temperatura totale non sarà inferiore ai 2,7 gradi centigradi.
G20: le decisioni riguardo la pandemia
Alcune decisioni sono state prese anche riguardo il fronte pandemico. Nel comunicato si legge che verrà aumentata la fornitura di vaccini e strumenti medici essenziali ai Paesi in via di sviluppo, rimuovendo i vincoli di approvvigionamento. In questa maniera si raggiungerebbe l’obiettivo di immunizzare il 40% della popolazione mondiale entro il 2021 e il 70% entro i primi 6 mesi del 2022.
In aggiunta a questo verranno rafforzate la ricerca e lo sviluppo per debellare definitivamente il Covid-19, nonché incrementati gli sforzi per ridurre a 100 giorni il tempo massimo per sviluppare vaccini e terapie nel caso dovesse insorgere una nuova pandemia.