In Italia, stando ai numeri del neonato sindacato Assoinfluencer, si contano 350.000 influencer tra youtuber, tiktoker, instagrammer, vlogger e streamer, per un valore di mercato pari a 280 milioni di euro. A questo settore in costante e continua crescita si rivolge il regolamento dell’attività richiesto dall’AGCOM. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni chiede di introdurre una serie di misure per garantire il rispetto da parte degli influencer delle disposizioni del Testo unico sui servizi di media audiovisivi. A partire dallo stop alla pubblicità occulta sui social network.
Influencer: basta pubblicità occulta sui social
Il Garante ritiene che la “crescente rilevanza e diffusione dell’attività” degli influencer ha la capacità di raggiungere un pubblico sempre più largo, che in molti casi supera l’audience dei media tradizionali come quotidiani, riviste e network televisivi. Sui contenuti audiovisivi che diffondono, i content creator “esercitano la responsabilità editoriale”: l’impatto che hanno “sugli utenti, sui consumatori e sulla società” ha condotto le istituzioni pubbliche “all’avvio di iniziative regolamentari in numerosi Paesi europei”, in primis la Francia e il Regno Unito.
Per favorire “una maggiore trasparenza e consapevolezza nei confronti degli stakeholder e del pubblico”, il Consiglio dell’Autorità ha deciso all’unanimità di sottoporre a consultazione pubblica “un documento relativo alle misure volte a garantire il rispetto da parte degli influencer delle disposizioni del Testo unico”, ovvero il Decreto legislativo n. 208 dell’8 novembre 2021. Il presupposto chiarito dal Garante è che gli influencer “svolgono un’attività analoga o comunque assimilabile a quella dei fornitori di servizi di media audiovisivi sotto la giurisdizione nazionale”.
L’AGCOM ha redatto un regolamento, ancora del tutto provvisorio, sulle “comunicazioni commerciali, televendite, sponsorizzazioni e inserimenti di prodotti” che prevede multe fino a 258.228 euro per chi farà pubblicità occulta. Secondo il Garante, i follower che seguono un influencer hanno il diritto di sapere se nel video che stanno vedendo sui social, su YouTube o su Twitch viene pubblicizzato un prodotto per il quale il creator ha percepito un compenso. Nel video la pubblicità deve essere sempre riconoscibile. L’influencer è obbligato a rendere visibile la scritta in sovrimpressione “pubblicità” o l’equivalente “adv”, abbreviazione che sta per l’inglese advertising.
L’influencer deve inserire un tag sul suo profilo social che rimanda chiaramente al “partner commerciale” che sta pagando quella pubblicità. Se il creator condivide il video nella sua rete sociale, ha l’obbligo di precisare che sta tentando di convincere gli utenti a comprare il prodotto che sponsorizza. Nella maggior parte dei casi “sensibili” la pubblicità occulta riguarda la vendita e il lancio di criptovalute, le terapie alternative ai farmaci, le cure di bellezza e gli interventi di chirurgia estetica.
Chi non si adegua alla regola riceverà un richiamo dal Garante: l’influencer è obbligato ad inviare una memoria scritta a sua difesa oppure a presentarsi fisicamente in audizione. Qualora l’AGCOM stabilisca che è avvenuta effettivamente un’infrazione, scatterà la multa prevista da un minimo di 10.329 euro a un massimo di 258.228 euro.
Gli influencer pagano le tasse?
Nella sua comunicazione del 17 luglio, l’Autorità diversifica la figura dell’influencer distinguendo tra professionisti come tiktoker, instagrammer, youtuber, vlogger e streamer che “propongono contenuti audiovisivi in modo continuo, con una modalità di offerta e organizzazione degli stessi tale da renderli sovrapponibili a un catalogo di un servizio di media on-demand”, e soggetti che “operano in maniera meno continuativa e strutturata”. Ai primi si applica “la totalità degli obblighi previsti dal Testo unico, ivi inclusi, a titolo esemplificativo, l’iscrizione al ROC, la disciplina in materie di opere europee e indipendenti, la SCIA (segnalazione certificata di inizio attività)”, mentre ai secondi “non appare giustificata l’applicazione nella sua interezza del regime giuridico previsto per i servizi di media audiovisivi a richiesta”.
Gli influencer che svolgono l’attività in maniera saltuaria dovranno limitarsi a comunicare un indirizzo e-mail legale al quale poter essere contattati. I “pro” sono invece considerati un servizio di media, con tutti gli obblighi del caso. L’iscrizione al ROC (il Registro degli operatori di comunicazione) prevede il versamento di un contributo all’Autorità che cambia in base alla tipologia di operatore: il range va dall’1,30 per mille all’1,90 per mille dei ricavi. Sono esentati produttori, editori e agenzie con ricavi inferiori ai 500.000 euro. I costi della SCIA dipendono dalle imposte locali e dalle tariffe dei commercialisti che aiutano nella compilazione del documento e oscillano dai 250 ai 1.000 euro.
Anche se manca ancora un chiaro quadro giuridico e per l’Agenzia delle Entrare è difficile applicare le categorie reddituali codificate da tempo, gli influencer sono professionisti a tutti gli effetti e devono pagare le tasse. Per combattere l’evasione, il Fisco medita una stretta. Il Codacons ritiene che gli influencer italiani producono un fatturato annuo totale che si aggira sui 300 milioni di euro e che i proventi derivanti da pubblicità a resort di lusso e prodotti griffati devono essere sottoposti a tassazione e regime fiscale. L’associazione dei consumatori chiede da mesi alla Guardia di Finanza di indagare su possibili redditi non dichiarati che potrebbero avere una notevole ricaduta sulle entrate dello Stato.