-15%. Questo il risultato dell’indice MSCI Emerging Markets nel primo semestre del 2022. Tensioni geopolitiche, crescita globale in rallentamento, ripresa dell’inflazione, maggiore vulnerabilità al ciclo di rialzo dei tassi USA e minori spazi di manovra fiscale, stanno esercitando oggi una pressione al ribasso sui mercati emergenti. Guardando alla storia, tali mercati hanno abituato nel tempo gli investitori ad ascese sorprendenti seguite da rovinose cadute e improvvisi sell off. La ciclicità nell’andamento di tali mercati è del resto strettamente correlata ai flussi di capitale dall’estero. E questo fin dall’Ottocento.
Una bolla che si gonfia a dismisura: il crash del 1825
Un primo esempio risale al 1825 quando si diffuse sulla Borsa di Londra un’eccitazione febbrile legata all’acquisto di titoli di Stato dei nascenti paesi dell’America latina, divenuti indipendenti a seguito della disgregazione degli imperi coloniali di Spagna e Portogallo. L’acquisto di titoli sudamericani lasciava intravedere corsi crescenti e promettenti guadagni di capitale. Contro ogni principio di razionalità economica, spinti dal desiderio di facili profitti, un crescente numero di investitori di Sua Maestà re Giorgio IV si affollò attorno a titoli di emittenti scarsamente affidabili, gonfiando a dismisura la bolla finanziaria. Ma come si è arrivati a questo?
Negli anni venti dell’Ottocento l’Inghilterra usciva da una lunga crisi monetaria dovuta alle guerre napoleoniche, caratterizzata da alta inflazione ed elevato debito pubblico. Quest’ultimo nel 1815 aveva raggiunto la cifra monstre di 778 milioni di sterline. Una nuova disponibilità di capitali da mettere a rendita si concentrava nuovamente sulla piazza di Londra, divenuta il crocevia della finanza globale. La grande liquidità in cerca di investimenti fu attratta dalla sterminata disponibilità d’oro e argento delle miniere del Nuovo mondo. Nel momento in cui i Paesi sudamericani si rivolsero al mercato monetario per reperire risorse con cui finanziare la spesa pubblica per la propria crescita, i merchant banker di Lombard Street e i loro clienti non si fecero trovare impreparati. In un clima di “euforia irrazionale” questi Stati di recente formazione raccolsero oltre 20 milioni di sterline. Arrivarono così sul mercato europeo bond rappresentativi di prestiti diretti a Perù, Brasile, Argentina, Gran Colombia, Messico e Cile. Il tasso d’interesse era del 6% annuo.
La corsa all’acquisto di obbligazioni latinoamericane raggiunse eccessi da pazzia. Avventuriero scozzese e mercenario nell’esercito di Simon Bolivar, Sir Ewan MacGregor convinse i banchieri della City a investire addirittura nel fantomatico Principato di Poyais, nella Baia di Honduras. Attraverso un’offerta al pubblico di obbligazioni raccolse 160.000 sterline. Non solo. MacGregor riuscì perfino a persuadere 250 suoi connazionali ad attraversare l’Atlantico per stabilirsi nella capitale del principato, Saint Joseph, ricca a suo dire di risorse incontaminate e terra fertile. Solo una cinquantina di loro fece ritorno sopravvivendo a malaria e febbri tropicali. La truffa venne alla luce il 23 gennaio 1824: tali titoli erano privi di valore.
Anche il mercato azionario ebbe la sua bolla. La diffusione di obbligazioni dell’America meridionale aprì la strada al boom delle azioni delle compagnie minerarie. Nel solo 1824 sul Royal Exchange furono quotate 74 nuove società. 100 sterline investite nell’indice minerario latinoamericano nell’agosto 1824, diventarono ben 511 al picco della bolla, nel febbraio 1825.
Un continente in default
L’epilogo non fu certo dei migliori. Pochissime obbligazioni pagarono le laute cedole promesse e rimborsarono integralmente il capitale nominale alla scadenza. Il continente finì presto in default, inaugurando una lunga serie di ristrutturazioni del debito pubblico che arriva fino ai giorni nostri. Cile, Colombia e Perù dichiararono bancarotta nel 1826, l’Argentina un anno più tardi, il Messico, che aveva raccolto ben 6,4 milioni di sterline, divenne insolvente nel 1827, poi nel 1833 e infine nel 1844.
Per quanto riguarda le azioni minerarie, nel 1826 il loro prezzo precipitò fino a raggiungere un minimo di 27 sterline. Anche Benjamin Disraeli, leader dei Tory e futuro primo ministro conservatore sotto la regina Vittoria nel 1868 e poi nel 1874-1880, venne travolto dalla bolla finanziaria. In affari con il finanziere John Diston Powles, nelle azioni minerarie aveva investito una fortuna. Nel 1849 gli rimanevano ancora da saldare 1.200 sterline di debito contratto per l’acquisto dei titoli sudamericani, di cui aveva incoraggiato pubblicamente la negoziazione anche dalle colonne del quotidiano The Representative.
Perfino le banche inglesi avevano investito direttamente nei titoli latinoamericani. Quando la bolla scoppiò la banca Pole, Thorton and C. fu la prima a fallire. Questo innescò una corsa generalizzata agli sportelli in tutto il paese. Trenta banche fallirono nel dicembre 1825. Altre 33 lo fecero nel corso del primo trimestre 1826. Circa il 18% del sistema bancario inglese rimase coinvolto nella crisi. La Bank of England dovette intervenire per evitare il collasso dell’intero sistema bancario. La contrazione del PIL nazionale nel 1826 fu di circa il 5,3%. Il romanzo storico Ovington’s Bank, dello scrittore Stanley J. Weyman, racconta le vicende di quei giorni drammatici.
I mercati emergenti oggi
Il ciclo di rialzo dei tassi negli Stati Uniti, e il conseguente apprezzamento del dollaro, rischiano di aumentare la volatilità di breve periodo e peggiorare ulteriormente la performance annuale dei mercati emergenti. Il super-dollaro rappresenta infatti motivo di preoccupazione perché inasprisce il costo di rifinanziamento in valuta USA e aumenta la pressione sul debito estero dei paesi in via di sviluppo. Il rendimento oltre il 3% del decennale americano ha spinto inoltre gli investitori globali a forti turnover di portafoglio, e alla riduzione dell’esposizione agli asset più rischiosi. Historia magistra vitae. Corsi e ricorsi storici. Quello dei mercati emergenti rappresenta un settore su cui porre riflessioni più approfondite. Una materia da gestire con cautela e prospettive di lungo termine.