I prezzi dell’oro bucano la soglia psicologica di 1.800 dollari l’oncia e ritestano il massimo dal 7 settembre a 1.821,26 dollari. Nei giorni scorsi molti hanno nutrito dubbi sul fatto che da quella resistenza il metallo giallo veniva puntualmente respinto, facendo emergere la considerazione che forse la materia prima avesse perso la tradizionale funzione di bene rifugio.
Questo a maggior ragione che le quotazioni delle criptovalute continuano un rally inarrestabile e sarebbero oggi le più accreditate a rimpiazzare l’oro come porto sicuro nei momenti di incertezza. Momenti di incertezza che non mancano in questo periodo storico con il riacutizzarsi del Covid-19 che sta mettendo a rischio la ripresa economica globale dopo il disastro pandemico.
Oro: perché gli investitori sono tornati a comprare
Questa nuova fiammata del prezzo dell’oro potrebbe legarsi all’atteggiamento delle Banche centrali che per ora vigilano sull’inflazione ritenendola comunque temporanea e non aumentano i tassi d’interesse. In particolare la Federal Reserve nell’ultimo meeting del 2-3 novembre ha annunciato la stretta monetaria con la riduzione di 15 miliardi mensili del piano d’acquisti di obbligazioni pubbliche e private da 120 miliardi. La notizia peraltro era già largamente attesa dal mercato e non ha provocato scossoni. Invece l’istituto guidato da Jerome Powell non ha fatto alcuna menzione sulla possibilità di aumentare anzitempo i tassi d’interesse come qualcuno suggeriva.
Anche da parte della Banca Centrale Europea la scorsa settimana sono arrivate dichiarazioni distensive in tal senso. Christine Lagarde ha ribadito che l’istituto continuerà a mantenere un atteggiamento accomodante qualora ce ne fosse bisogno, anche quando il PEPP arriverà a scadenza naturale. Ad ogni modo nei piani alti dell’Eurotower nessuno sta minimamente pensando di alzare il costo del denaro in questo momento storico. Anzi, i più la considerano una mossa controproducente.
Con la garanzia quindi che i tassi rimangono bassi, l’oro ha rialzato la testa. La ragione è semplice: quando i rendimenti sono alti, aumenta il costo opportunità di detenere un asset non redditizio come il gold; mantenendosi bassi risulta più conveniente possedere il metallo prezioso.
Le aspettative sono rafforzate dal fatto che i banchieri centrali continuano a manifestare una moderata preoccupazione per la crescita dei prezzi, legata essenzialmente alla crisi degli approvvigionamenti. È ferma convinzione che nel 2022 la situazione sul mercato si andrà ad equilibrare, con la domanda oggi eccessiva che si allineerà con l’offerta in questo momento scarsa. Una variabile potrebbe anche essere il rallentamento della crescita per via della recrudescenza della pandemia e questo sarà un motivo in più per evitare di provocare un ulteriore shock facendo leva sulla politica monetaria.
Prezzi oro: dove andranno quotazioni?
L’oro quindi è in una botte di ferro? Secondo gli analisti i catalizzatori potrebbero aumentare fin quando i dati sull’inflazione si manterranno in linea o al limite leggermente sopra le aspettative. Almeno questa è l’opinione di Kyle Rodda di IG, che ritiene la Fed accomodante fin quando si prospetta questo scenario. Nemmeno i dati sull’occupazione americana di venerdì 5 novembre migliori delle attese potranno distogliere per ora la Banca Centrale USA dai suoi intenti, a giudizio dell’esperto.
Rodda vede nel breve termine vede un rally dell’oro fino a 1.900 dollari se i prezzi dovessero rompere la resistenza a 1.830 dollari. Nel lungo termine tuttavia il discorso cambia, perché l’elevata inflazione costringerà le Banche centrali a stringere la loro politica monetaria.