Teheran: “Usa pronti a ritirare le sanzioni per tornare al dialogo”. Trump smentisce ma il Wti crolla
Ci ha messo 11 giorni esatti. Undici giorni per tornare ai livelli precedenti all’attacco degli impianti di Saudi Aramco. A 54,79 dollari al barile, il petrolio ha registrato il suo minimo intraday, nonché il record negativo dal 16 settembre scorso, giorno in cui i ribelli Houthi dello Yemen, attraverso una serie di droni e di missili, avevano messo in ginocchio la produzione delle raffinerie della compagnia nazionale saudita, dimezzando i quasi 10 milioni di barili al giorno che rappresentavano, da soli, il 5% del fabbisogno mondiale. Allora, il prezzo del Wti si era impennato fino a 63,3 dollari al barile, ai massimi degli ultimi tre mesi e mezzo, per un rialzo di quasi dieci dollari in meno di ventiquattrore.

Grafico Wti Petrolio by TradingView
Teheran: “Gli Stati Uniti ci hanno fatto un’offerta”
Tutto azzerato. Da quel giorno, dal punto di vista grafico, si è andata a formare una congestione di barre sfondata proprio nella giornata di oggi. Il ribasso è avvenuto in scia alla notizia fatta filtrare da Teheran, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero offerto all’Iran di riaprire le trattative commerciale in cambio della rimozione di tutte le sanzioni imposte recentemente dall’amministrazione Trump, ritirando a maggio 2018 la “firma” di Washington dall’accordo guidato da Barack Obama sul nucleare siglato nell’estate 2015 dalle principali potenze mondiali.
Trump: “Tutto falso”
Le sanzioni stanno riducendo tuttora le esportazioni iraniane di greggio dell’80%: oggi, di fatto, la Cina rimane il principale acquirente di petrolio dal paese islamico. Una produzione che però, nel momento in cui Washington dovesse per davvero rimuovere le sanzioni, potrebbe tornare a invadere il mercato, con un’offerta di greggio che diventerebbe ancora più ampia. Da qui, il “sell-off” a cui è soggetto in questo momento il Wti. Secca la smentita via Twitter del presidente Donald Trump: “L’Iran vuole che io rimuova le sanzioni per poi riaprire i colloqui. Ma la mia risposta, ovviamente, è no”.
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Iran wanted me to lift the sanctions imposed on them in order to meet. I said, of course, NO!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) September 27, 2019
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“Uno choc petrolifero”
L’attacco alle infrastrutture petrolifere di Saudi Aramco, che ha mandato in tilt metà della produzione locale, come detto, era stato rivendicato dai ribelli Houthi dello Yemen, ma Riad e Washington avevano puntato il dito proprio contro l’Iran, che a sua volta aveva respinto le accuse. Uno choc petrolifero secondo gli analisti, poiché l’interruzione all’incirca dei 5,7 milioni di barili di produzione aveva superato i livelli raggiunti nel 1990 durante la guerra del Golfo. In realtà, l’impennata dei prezzi ha avuto vita breve. Un po’ perché l’Arabia Saudita e gli Usa hanno messo mano alle scorte di emergenza per mantenere i flussi costanti. Un po’ perché l’offerta di petrolio, come già accennato, è rimasto molto ampio. Non è un caso che l’Opec, già prima dell’attacco, avesse ridotto la produzione per cercare di alzare i prezzi, filosofia opposta a quella del leader della Casa Bianca, che invece spinge per tenere giù il prezzo del petrolio, e quindi anche quello della benzina. Intanto, la produzione di greggio di Saudi Aramco dei due impianti di Khurais e Abqaiq sarebbe ritornata a 8 milioni di barili al giorno, due in meno circa rispetto alla media dei 9,7 milioni al giorno precedente all’attacco.