La crisi energetica che sta colpendo la Cina e l’Europa ha fatto impennare i prezzi dei combustibili fossili come carbonio, gas naturale e petrolio, riportando sotto i riflettori il nucleare. Per tanti anni l’energia nucleare è stata accantonata da vari Paesi dopo il disastro di Chernobyl del 1986. La paura delle radiazioni rilasciate nell’aria ha portato alla chiusura di molte centrali energetiche, nonostante gli appelli lanciati da più parti sulla sicurezza delle stesse. Oggi, con una transazione energetica in corso e quantomai doverosa, si sta iniziando a rivalutare tutte le forme di energia alternative a quella generata dalle sostanze inquinanti, senza escluderne alcuna.
E quella nucleare può tornare a essere protagonista, con questa prospettiva che ha contribuito a dare una grande spinta alle quotazioni dell’uranio, i cui prezzi sono aumentati del 37% quest’anno, toccando il picco di oltre 50 dollari la libbra il mese scorso, il top dal 2012. Ancora siamo lontani dal prezzo record di 136 dollari raggiunto prima della Grande Crisi del 2008 ma, se l’energia nucleare rivestirà un ruolo centrale in questo contesto di grande crisi di approvvigionamento, allora non è detto che presto non potremo vedere le quotazioni dell’uranio avvicinarsi a quei livelli.
Uranio: chi sta acquistando la materia prima
Uno dei più grandi protagonisti sul mercato dell’uranio è il Physical Uranium Trust del gestore patrimoniale canadese Sprott. Il fondo è uno dei pochi che acquista il bene fisico e lo deposita nei magazzini. Negli ultimi tempi Sprott ha effettuato una scorta significativa della materia prima catalizzando l’aumento dei prezzi. Gli altri fondi invece hanno perlopiù aumentato l’esposizione nell’uranio attraverso le azioni delle società minerarie, che nel 2021 hanno realizzato performance in media intorno al 60%. Il fondo Tribeca Investment Partners è cresciuto quest’anno del 345% grazie agli investimenti sul nucleare, dopo aver atteso con pazienza che succedesse qualcosa nel settore energetico, stando alle parole del suo Amministratore Delegato, Ben Cleary. “Con gli enormi movimenti di prezzo del mese di settembre la situazione è cambiata radicalmente”, chiosa Cleary.
Uranio: dove andrà a finire il rally?
Molte cose fanno pensare che il rally dell’uranio possa continuare ancora. Secondo Rob Crayfound di CQS New City Investment Managers, la crisi energetica avrà ricadute a livello politico, il che spingerà l’Occidente a prolungare la vita dei reattori nucleari esistenti. Ormai ci sono pochi dubbi sulla fornitura sicura di questa fonte di energia e se ciò verrà riconosciuto senza indugi dai Governi ci potrebbe essere una nuova spinta ai prezzi dell’uranio.
In una nota ai clienti, il fondo Light Sky Macro vede una grande opportunità nell’immediato nel settore dell’uranio, avvalorata dal fatto che durante la pandemia le scorte sono diminuite contraendo l’offerta. Nello stesso tempo però la domanda è prevista in forte rialzo nei prossimi anni e questo darà altra vita al rally della materia prima. Il fondo ha aggiunto che i potenziali guadagni superano di gran lunga il rischio di perdite. Sean Benson, fondatore di Tees River, fondo londinese che investe nell’uranio, in una lettera agli investitori avverte che il ciclo dell’elemento chimico è migliore rispetto a quello precedente grazie a 2 fattori: il deficit dell’offerta rispetto alla domanda e il programma di cambiamento climatico favorevole.