Le azioni USA sono diventate “non investibili”. Un termine che lo scorso anno è stato adottato per i titoli cinesi, quando la Cina si trovava in grande difficoltà per le scelte del governo di Pechino di chiudere le città per perseguire la politica del Covid-zero. Ora tocca agli Stati Uniti far la parte del cattivo davanti agli investitori, messi in fuga dalla crisi bancaria che sta tenendo con il fiato sospeso le autorità regolamentari. Questo mese sono saltate Silvergate Capital, Silicon Valley Bank e Signature Bank, mentre una rischia ancora di unirsi al gruppetto: First Republic Bank.
Ma non è solo la crisi bancaria ad aver inasprito il sentiment degli investitori internazionali sul mercato azionario USA. Anche lo stallo sul tetto del debito, su cui i politici statunitensi non hanno ancora trovato un accordo, contribuisce ad alimentare tensioni. Non è mai successo che un accordo alla fine non si sia trovato e paventare un default del debito USA sarebbe bizzarro. Ma si sa che i mercati vivono di emozioni e l’incertezza non è mai una buona compagna di viaggio.
Dai dati rilasciati da Bank of America risulta che nella settimana fino a mercoledì 22 marzo, gli afflussi verso le azioni in generale sono ripresi a 2,6 miliardi di dollari, con gli investitori che hanno versato 3 miliardi di dollari nei mercati emergenti. Le azioni USA però hanno registrato deflussi per 1,7 miliardi di dollari.
Azioni USA: fuga dalle Big Tech
Anche le aziende più virtuose degli Stati Uniti hanno problemi da sbrigliare. Per esempio, le autorità antitrust non mollano la presa sui colossi della tecnologia come Apple, Alphabet e Meta Platforms. Tesla dovrà combattere a denti stretti con una concorrenza che si fa sempre più agguerrita nel settore delle auto elettriche mentre la Cina non sorride più come un tempo alla compagnia di Palo Alto.
Amazon sta subendo un calo preoccupante del business, non solo nell’area core ma anche nelle divisioni come il cloud e la pubblicità. Sullo sfondo c’è l’aspra battaglia per conquistare il mercato emergente dell’intelligenza artificiale.
Investire in oro? Perché no
Se gli investitori se la danno a gambe da Wall Street, dove sono diretti? Attualmente un grande beneficiario è l’oro, che ha agguantato la soglia psicologica di 2.000 dollari l’oncia e potrebbe attaccare nelle prossime settimane il massimo storico di marzo 2022 a 2.078 dollari, soprattutto se le turbolenze bancarie dovessero esacerbarsi. Secondo i dati del World Gold Council, nel 2022 le Banche centrali hanno acquistato circa 1.136 tonnellate del metallo prezioso, quantificabili in 70 miliardi di dollari.
La domanda quest’anno potrebbe crescere per due motivi principali. Il primo ha a che vedere con i rendimenti obbligazionari, che potrebbero abbassarsi sulle prospettive che la Federal Reserve allenti il ritmo dell’aumento dei tassi con il raffreddamento dell’inflazione e le tensioni per la crisi bancaria. Il secondo allude alla riapertura della Cina, il principale acquirente di oro al mondo insieme all’India, la cui domanda potrebbe far lievitare le quotazioni.