Le agevolazioni prima casa continuano a rappresentare un pilastro della fiscalità immobiliare italiana. Tuttavia, l’applicazione del beneficio non è sempre priva di zone grigie, specie quando intervengono modifiche successive alla stipula dell’atto di compravendita. Un chiarimento importante arriva dalla Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 16643 del 21 giugno 2025, ha stabilito un principio innovativo in tema di decadenza e sanzioni.
Cosa succede se l’immobile cambia categoria catastale dopo l’acquisto? Il contribuente rischia comunque di perdere l’agevolazione? È dovuta la sanzione del 30% per imposta non versata? Le risposte della Suprema Corte ridisegnano i confini tra tutela del contribuente e prerogative del fisco.
In questo articolo:
- Agevolazioni prima casa: quando spettano e quali immobili restano esclusi
- Riclassificazione catastale: il caso analizzato dalla sentenza n. 16643 della Cassazione
- Requisiti fiscali e responsabilità del contribuente: cosa cambia dopo il nuovo orientamento
Agevolazioni prima casa: quando spettano e quali immobili restano esclusi
Il beneficio delle agevolazioni prima casa si applica solo a precise condizioni. Sul piano oggettivo, l’immobile non deve appartenere alle categorie catastali A/1, A/8 o A/9, che identificano rispettivamente abitazioni signorili, ville e palazzi storici. Il criterio di riferimento, a partire dal 1° gennaio 2014 (per l’imposta di registro) e dal 12 dicembre 2014 (per l’Iva), è unicamente la classificazione catastale risultante al momento della stipula.
Le abitazioni in categoria A/2, A/3, A/4 e simili sono compatibili con le agevolazioni. La norma non prende più in considerazione altri elementi come superficie, finiture o dotazioni (piscina, ascensore interno, ecc.), criteri che erano previsti nel DM 2 agosto 1969 ma non sono più applicabili.
Chi rispetta i requisiti soggettivi – residenza nel comune entro 18 mesi, assenza di altri immobili con le stesse agevolazioni su tutto il territorio nazionale – può beneficiare di un trattamento fiscale ridotto: Iva al 4%, imposta di registro al 2%, imposte ipotecaria e catastale fisse o ridotte.
Riclassificazione catastale: il caso analizzato dalla sentenza n. 16643/2025 della Cassazione
Nel caso analizzato dalla Corte di Cassazione, un contribuente aveva acquistato un’abitazione nel 2017, classificata in categoria A/2, sulla base di una scheda catastale regolarmente aggiornata. L’acquisto era stato effettuato usufruendo delle agevolazioni prima casa, in quanto la categoria rientrava nei parametri richiesti dalla normativa.
L’Agenzia delle Entrate ha però modificato la classificazione catastale nel 2018, attribuendo all’immobile la categoria A/1. La riclassificazione era stata disposta a seguito di una segnalazione del Comune, con effetto retroattivo. A questa modifica l’Agenzia ha fatto seguire la revoca dell’agevolazione, l’applicazione dell’aliquota Iva ordinaria e l’emissione di un avviso di liquidazione con sanzione pari al 30% dell’imposta.
La Corte di Cassazione ha respinto questa impostazione. Ha stabilito che la riclassificazione postuma non può giustificare l’irrogazione di sanzioni fiscali, se al momento del rogito l’immobile era regolarmente iscritto in una categoria compatibile con il regime agevolato.
Il contribuente aveva agito sulla base di documenti ufficiali e non poteva prevedere modifiche successivamente deliberate dall’amministrazione catastale.
Requisiti fiscali e responsabilità del contribuente: cosa cambia dopo il nuovo orientamento
Il principio espresso nella sentenza si fonda sulla distinzione tra diritto al beneficio e responsabilità per irregolarità. La Corte ha ribadito che per l’applicazione di una sanzione tributaria è sempre necessario accertare una condotta dolosa o quantomeno colposa da parte del contribuente.
In assenza di elementi che indichino intenzionalità o negligenza, la sola variazione amministrativa dell’inquadramento catastale non giustifica l’applicazione di sanzioni.
Nel caso esaminato, l’acquirente aveva basato la propria scelta sull’attestazione fornita dagli atti pubblici e dagli archivi catastali al momento del trasferimento. Sebbene l’immobile fosse oggetto di una precedente istanza di riclassamento, questa non era ancora definita al momento dell’acquisto. La Corte ha specificato che una domanda pendente non obbliga l’acquirente a considerare come prevalente una categoria catastale diversa da quella risultante nei registri ufficiali.
Secondo l’interpretazione fornita dalla Suprema Corte, l’accertamento successivo non può produrre effetti sanzionatori retroattivi se il contribuente si è conformato alle informazioni a sua disposizione. Il recupero dell’imposta può avvenire, ma senza l’aggiunta di sanzioni, quando il comportamento del contribuente è conforme alla normativa vigente al momento dell’atto.