Tra le nubi che hanno contribuito a oscurare lo scenario economico mondiale nei primi sei mesi dell’anno ci sono le difficoltà della Cina nell’affrontare la pandemia di Covid-19. Le misure approvate dal governo a sostegno dell’economia, tra cui un taglio alle riserve obbligatorie delle banche e un’espansione della spesa fiscale, stanno avendo un successo limitato nel contrastare il rallentamento economico causato dai ripetuti lockdown. Nel pieno della guerra tra Russia e Ucraina, i legami di Pechino con Mosca non hanno certo aiutato a rasserenare questo quadro.
Nelle ultime settimane il governo cinese è inoltre tornato ad aumentare la pressione regolamentare sulle società tecnologiche, sanzionando Alibaba e Tencent per aver violato le regole anti-monopolio. Infine si è registrato un nuovo allarme sanitario dopo la scoperta di della nuova sottovariante Omicron BA.5 a Shanghai. Sebbene i mercati azionari cinesi stiano soffrendo in misura minore rispetto a quelli di altre nazioni, le notizie provenienti dall’economia cinese non rassicurano gli investitori che si chiedono quando la Cina potrà uscire dall’incubo pandemia e cosa ci sia da aspettarsi sui mercati azionari cinesi.
Cina ancora ostaggio del Covid per 4 motivi
Jian Shi Cortesi, Investment Director azionario Cina e Asia di GAM ha individuato le quattro ragioni principali che finora hanno impedito alla Cina di fare passi avanti nell’uscita dalla pandemia, mettendo il governo cinese di fronte alla scelta se consentire un aumento dei decessi per Covid o andare incontro al rallentamento economico.
Secondo Jian Shi Cortesi sul fronte pandemico, grazie al successo delle misure di contenimento adottate nel Paese negli ultimi due anni, meno dello 0,1% dei cinesi si è ammalato e la Cina ha registrato solo qualche migliaio di morti per Covid rispetto a 1 milione negli Stati Uniti. Tuttavia anche per questo motivo la popolazione cinese oggi sarebbe più vulnerabile nei confronti del virus rispetto a quella di altri Paesi che si avviano invece verso l’immunità di gregge.
Inoltre, come spiegato dall’Investment Director azionario Cina e Asia di GAM, il segmento più vulnerabile della popolazione non vuole essere vaccinato. Solamente il 60% dei cinesi con più di 60 anni e il 20% degli ultraottantenni ha fatto il richiamo vaccinale. Ciò significa che 100 milioni di anziani in Cina non sono vaccinati.
A questa evidenza si aggiunge il fatto che la percentuale dei posti in terapia intensiva del Paese è assolutamente insufficiente. Secondo un sondaggio dell’Istituto di terapia intensiva cinese, il rapporto tra i posti disponibili in terapia intensiva e il numero complessivo dei letti in ospedale nel Paese è infatti dell’1,65% soltanto. Ciò significa che ci sono solamente 3,43 posti in terapia intensiva ogni 100.000 persone.
“Se consideriamo che in molti Paesi occidentali ci sono stati 2-3 morti ogni 1.000 persone, secondo le nostre stime se la Cina abbandonasse la politica zero-Covid, nel Paese potrebbero esserci 3-4 milioni di morti, rispetto a 1 milione di decessi per Covid negli Stati Uniti con una popolazione di 300 milioni. La Cina ha infatti una popolazione pari al quadruplo rispetto agli Stati Uniti e vuole evitare maggiori pressioni sul sistema ospedaliero”, precisa Jian Shi Cortesi.
Vaccino mRNA: la luce in fondo al tunnel Covid della Cina?
Neanche la prossima approvazione del primo vaccino mRNA sembrerebbe poter essere un punto di svolta nella lotta contro il Covid. Per Jian Shi Cortesi
“sono almeno sei i vaccini mRNA cinesi che in questo momento si trovano nella fase di sperimentazione clinica. Sebbene i vaccini mRNA abbiano dimostrato di attivare una risposta degli anticorpi più forte rispetto al vaccino Sinovac precedentemente sviluppato in Cina, è comunque improbabile che la loro un effettivo punto di svolta per la Repubblica popolare. Tre dosi di Sinovac hanno già dimostrato un’efficacia del 90% per evitare i decessi per Covid. Dunque il fattore critico in Cina non è il vaccino mRNA, ma l’aumento della percentuale di vaccinati tra i più anziani, tanto che per incoraggiarli a vaccinarsi, il governo sta offrendo diversi incentivi economici”.
Viste queste premesse, secondo gli analisti di GAM è difficile prevedere le tempistiche esatte del momento in cui la Cina cesserà la politica di tolleranza zero contro il Covid, ma il momento potrebbe essere vicino:
“Riteniamo che la Cina abbandonerà la politica zero-Covid nel momento in cui le città avranno risorse mediche adeguate e una percentuale elevata di vaccinati, soprattutto tra i più anziani e le altre fasce vulnerabili della popolazione”, asserisce la portfolio manager.
Azionario Asia: 3 aree di investimento dove generare rendimento
A fronte delle difficoltà evidenziate, sia sul fronte della lotta al Covid che dal punto di vista della nuova stretta regolamentare sulle società tecnologiche, dove è possibile trovare rendimento?
“A nostro avviso – riprende Jian Shi Cortesi – il mercato azionario cinese potrebbe essere il primo a uscire dalla fase di sell-off dei mercati globali, essendo stato tra i primi a entrarvi. Le valutazioni contenute e le politiche di sostegno del governo costituiscono una combinazione altamente di supporto. Abbiamo un posizionamento bilanciato del portafoglio, caratterizzato da un’esposizione sia a titoli a crescita secolare sia ad azioni poco costose legate alla dinamica contingente della ripresa. Oggi infatti c’è l’opportunità di fare ottimi affari in Asia, in generale nei beni di consumo e nell’innovazione. Alcune large cap hanno perso il 70% rispetto dai livelli massimi, alcune aziende minori anche il 90%. Siamo posizionati in tre aree particolarmente interessanti da cui ci aspettiamo di ottenere rendimento. La prima riguarda, nel lungo termine, gli astri nascenti, le società emergenti nel campo dell’innovazione. La seconda opportunità va ricercata nella ripresa dei consumi, dato che molti mercati asiatici hanno riaperto dopo il Covid. Infine ci sono le fonti rinnovabili di energia, in cui l’Asia è locomotiva globale. Basti pensare che la Cina da sola controlla il 70% della produzione globale di pannelli solari, produce quasi la metà delle turbine eoliche e annovera il 40% delle vendite di veicoli elettrici”.