Il crollo della Sterlina e la debolezza dell’Euro da una parte, la Fed dall’altra. Cosa succede al mercato valutario?
Dollaro forte o Sterlina ed Euro deboli? La moneta unica galleggia sui minimi da 26 mesi contro il biglietto verde mentre il pound ha toccato i record negativi di marzo e settembre 2017 rispettivamente nei confronti di Dollaro ed Euro. Donald Trump ovviamente guarda a casa sua, e quindi agli Stati Uniti, puntando il dito, tanto per cambiare, contro la Fed. Perché il taglio (probabile) di 25 punti base atteso domani non è abbastanza, almeno dal suo punto di vista. Vuole di più, il presidente Usa, ed effettivamente anche gli investitori cercano di capire, in queste ore, se l’intervento della Federal Reserve sarà una misura spot o la prima di una serie. Trump ha attaccato anche la Cina in realtà, con il tweet di oggi: “Pechino dovrebbe probabilmente aspettare le nostre elezioni (presidenziali del novembre del 2020, ndr) per vedere se viene eletto un democratico rigido come l’addormentato Joe (Biden, ndr) e fare accordi con lui” in riferimento alla ripresa delle trattative tra America e colosso asiatico, su cui comunque continua a prevalere molto scetticismo (e l’andamento dei mercati di oggi lo dimostra).
..My team is negotiating with them now, but they always change the deal in the end to their benefit. They should probably wait out our Election to see if we get one of the Democrat stiffs like Sleepy Joe. Then they could make a GREAT deal, like in past 30 years, and continue
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 30, 2019
DRAGHI IMMOBILE, FED… POCO MOSSA?
La verità è che se l’Euro viaggia sui minimi negli ultimi due anni e due mesi contro il dollaro, significa che l’effetto dell’annuncio della Banca Centrale Europea “preparata a intervenire se necessario”, ma di fatto ancora immobile, alla fine non c’è stato. La Bce si è limitata a rispondere positivamente alle aspettative minime del mercato, aprendo a un ulteriore taglio dei tassi e a un nuovo Quantitative Easing, senza però di fatto intervenire. Un’immobilità che non ha generato rialzi significativi né sul mercato azionario, né su quello valutario. Anzi. Chi aveva pronosticato una guerra valutaria, con le Banche Centrali impegnate a ridurre il costo del denaro per stimolare la propria economia di riferimento è rimasto deluso. Mario Draghi ha rinviato ogni provvedimento a settembre. Come a dire: non siamo ancora al collasso ma siamo pronti a intervenire se mai ci dovessimo arrivare. Jerome Powell, dal canto suo, qualcosa farà ma la sua mossa sulla scacchiera sarà un semplice pedone da 25 punti base. E siccome l’economia americana è molto più solida di quella europea, con il Pil che cresce oltre le attese e la disoccupazione ancora ai minimi storici, ecco che il dollaro rimane forte nei confronti dell’Euro, il cui paese locomotiva, la Germania, sta peraltro registrando un pesante rallentamento della propria economia.
HARD BREXIT? STERLINA GIU’
Diversa la questione della Sterlina. Il cambio con il Dollaro oggi sta a 1,21, minimo da marzo 2017 mentre il rapporto con l’Euro è a 0,9173, record da settembre 2017, periodo in cui diverse banche inglesi avevano minacciato l’esodo dal Regno Unito, come forma di protesta nei confronti della Brexit. L’elezione di Boris Johnson a nuovo premier della Gran Bretagna sarebbe il via libera per un’uscita senza accordi con l’Unione Europea, come ha riportato anche sul Sunday Times Michael Gove, responsaile dei preparativi per un’ipotetica Brexit scomposed, ed è proprio questo che ha destabilizzato i mercati. Theresa May ha sempre avuto come obiettivo un’uscita “educata”. L’aut aut di Johnson: “Brexit entro e non oltre il 31 ottobre”, con tanto di licenziamento di tutti i ministri per insediare al loro posto una squadra estremista (proprio come lui), in aggiunta alle dichiarate intenzioni di voler rinegoziare l’accordo tra May e Bruxelles (che per ora ha risposto picche) e di ritardare il pagamento dei 39 miliardi di sterline che Londra deve all’Unione Europea, ha portato al crollo della Sterlina: -4% in un mese, un dato a cui la Bank Of England dovrà tenere conto giovedì, quando si riunirà il consiglio direttivo. Un modus operandi molto “Trumpiano”, quello di Boris Johnson, secondo molti analisti. Tutti fattori che fanno temere il peggio, anche perché Johnson non vuole incontrare i leader Ue finché non accetteranno di rivedere le loro posizioni sul backstop, e cioè sul ritorno a un confine rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord. In un periodo in cui i dazi e le guerre commerciali sembrano all’ordine del giorno, un Paese che decide di auto escludersi da uno dei principali blocchi commerciali, non può che rischiare grosso.