Gli Stati Uniti rilasceranno 50 milioni di barili di greggio dalle proprie riserve strategiche per cercare di contenere la crescita dei prezzi del petrolio che sta mettendo in crisi l’economia mondiale. Tutto ciò rientra in un piano coordinato con altri grandi Paesi come Cina, Giappone, Regno Unito, Corea del Sud e India. Fino a questo momento i partners hanno risposto nel complesso senza alcuna esitazione e si impegneranno affinché l’obiettivo sia raggiunto.
Qualche dubbio c’era per il Giappone, in quanto lo Stato guidato da Fumio Kishida ha difficoltà normative ad attingere alle riserve. La legge nipponica infatti prevede di farlo quando subentrano circostanze eccezionali che minacciano seriamente l’interruzione dell’approvvigionamento. Nelle ultime ore però Tokyo ha confermato il rispetto dei patti proprio per bocca del Primo Ministro, che ha dichiarato di vendere “parte delle riserve petrolifere statali per cooperare con gli USA cercando di non violare la legge giapponese.”
Petrolio: cosa farà la Cina con le riserve strategiche?
La vera mina vagante però è la Cina. Il sospetto che stia tenendo un comportamento ambiguo c’è tutto da parte degli altri Paesi, in quanto da Pechino non si scorgono segnali concreti orientati nella direzione dell’accordo, al di là di qualche dichiarazione ufficiale.
Il portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lilian ha affermato che il Dragone sta collaborando con i produttori e i consumatori di petrolio per garantire un funzionamento stabile e di lunga durata del mercato. Tuttavia, Zhao ha aggiunto che il rilascio delle riserve sarà effettuato in funzione della realtà e delle esigenze del Paese. Questo già fa sollevare qualche sospetto che l’apporto della Cina potrebbe non essere scontato, soprattutto se il Governo dovesse trovare strade alternative per soddisfare il proprio fabbisogno energetico interno.
La settimana scorsa qualcosa dalle proprie riserve è stato rilasciato, in base alle dichiarazioni governative. Non è stato chiarito però se questo sia avvenuto in risposta all’invito giunto da Washington di collaborare alla realizzazione del piano di stabilità, oppure se faccia parte di un programma interno precedente.
Secondo gli analisti di Energy Aspects, la Cina effettuerà qualche ritardo prima di confermare il rilascio, giusto per separare le proprie azioni dall’annuncio di Joe Biden. L’attesa degli esperti era che la Cina annunciasse un piano di aste di vendita fino a 15 milioni di barili prima della chiusura del 2022. L’ultima asta pubblica per frenare i prezzi del greggio si è tenuta a settembre, dove sono stati offerti 7,4 milioni di barili.
Greggio: la mossa americana servirà a ridurre i prezzi?
Fino a questo momento l’annuncio statunitense non ha sortito gli effetti sperati, dal momento che il Brent e il WTI continuano a crescere nel mercato delle materie prime. Come sostiene Jamie Webster, direttore senior del BCG Center for Energy Impact, evidentemente gli investitori si aspettavano qualcosa di più in termini di azioni coordinate rispetto al rilascio statunitense. A giudizio di Amrita Sen, direttore della ricerca di Energy Aspects, quella di Washington è stata solo una mossa simbolica che avrebbe avuto al più un impatto nel breve, ma nel lungo termine occorre altro.
Adesso l’attenzione si sposta tutta alla riunione dell’OPEC+ del 2 dicembre, dove i Paesi esportatori di petrolio dovranno discutere di eventuali aumenti dell’offerta. Finora il gruppo ha incrementato l’output di 400 mila barili al mese, ripristinando le forniture tagliate l’anno scorso in piena crisi pandemica. Con questa presa di posizione degli Stati Uniti molti analisti si aspettano che ora il cartello possa arenarsi.