Nove milioni di italiani disporranno della previdenza complementare nel momento in cui termineranno la loro attività lavorativa. Lo ha reso noto la Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, nel suo ultimo aggiornamento a giugno 2022. È tanto? È poco? E come aumentare le adesioni? Se lo sono chiesti gli ospiti dell’evento “Anima è previdente”, organizzato da Anima Sgr a Milano. Tra gli ospiti: Alberto Brambilla, presidente del Centro studi di Itinerari previdenziali; Sergio Corbello, presidente di AssoPrevidenza; Paolo Pellegrini, vicedirettore generale di Mefop (società per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione); Davide Gatti, responsabile Retail & Private, Giuseppe Rivellino, responsabile Servizi Specialisti Previdenziali, Stefano Cinosi, responsabile Divisione Individual Mandates, Filippo Correnti, senior Relationship Manager e Matteo Tagliaferri, head of Marketing & Communication di Anima Sgr.
L’assenza di parti sociali e politica
Paolo Pellegrini, vicedirettore generale di Mefop è stato netto nel commento dei dati Covip: “I numeri della previdenza complementare non sono arrivati dove si sperava che arrivassero”. Sergio Corbello, presidente di AssoPrevidenza, ha rincarato la dose: “Possiamo dire che la previdenza complementare non sia stata il pensiero principale delle parti sociali e della politica in tutti questi anni”. Dunque, chi doveva far capire perché la costruzione di una pensione complementare è fondamentale al giorno d’oggi ha brillato per poca attenzione.
Ancora troppo pochi si rendono conto che tra l’ultimo stipendio e la prima pensione che prenderanno c’è un divario che mette a rischio la sostenibilità del tenore di vita. Cifre alla mano è stato Alberto Brambilla a sottolineare il differenziale che per gli italiani si aggira tra il 35% e il 20% “meglio di quanto accada in altri paesi ma solo perché paghiamo più contributi”. La stima, peraltro, è basata su un’aspettativa di crescita del Pil dell’1,5% all’anno con una crescita della produttività annua dell’1,53%. Se si abbassano questi valori il divario, tecnicamente chiamato “tasso di sostituzione” aumenta. “I più esposti sono i liberi professionisti, gli autonomi, gli appartenenti alle gestioni separate e le partite Iva – ha aggiunto Brambilla – ma il problema riguarda tutti coloro che rientrano nel metodo contributivo di calcolo della pensione, in altro parole: tanto versi, tanto prendi”. Troppo pochi, ancora oggi, ne sono consapevoli e ancora meno sanno come funziona e quali sono i vantaggi dell’adesione a forme di previdenza complementare.
I vantaggi sconosciuti agli italiani
La realtà di quanto poco i temi e i concetti della pensione integrativa siano penetrati nella testa degli italiani è mostrata dai numeri dell’Osservatorio Anima “Gli italiani e i fondi pensione” presentato durante l’incontro. Condotto tra il 5 e l’8 settembre, lo studio ha coinvolto 1.019 italiani “bancarizzati”, ossia possessori di un conto corrente, di un libretto bancario o postale, dei quali il 50% attivi anche sul fronte degli investimenti. Si tratta di utenti già a contatto con il mondo finanziario che si dimostrano consapevoli della necessità di investire sul futuro previdenziale: il 76% dei “bancarizzati” e l’81% degli “investitori” ritiene molto o abbastanza importante farlo.
Tuttavia questa consapevolezza non si tramuta in azione visto che solo il 34% dei primi e il 44% dei secondi ha destinato il Tfr a un fondo pensione. Chi non lo ha fatto si è giustificato con la volontà di rimanere più liquido (29% dei bancarizzati e 34% degli investitori), perché ritiene più sicuro il TFR (23% e 15%), perché era inconsapevole dell’esistenza dei fondi pensione (17% e 18%). Il timore degli italiani si riflette anche nella scelta delle linee previdenziali, con il 37% in media che investe nelle più prudenti disponibili, quelle garantite. Solo il 10% sceglie le linee azionarie o prevalentemente azionarie, più aggressive e volatili ma in grado di rendere meglio nel lungo orizzonte temporale che caratterizza l’investimento previdenziale. Per Matteo Tagliaferri è una situazione inammissibile se si considera che l’età media degli aderenti alla previdenza integrativa è di 47 anni. Inoltre sono anche i giovani, il cui orizzonte temporale è più lungo, a scegliere in prevalenza le linee a minor rischio. Una scelta che in termini di rendimenti reali in presenza di inflazione non paga.
La poca conoscenza dei meccanismi di funzionamento della previdenza integrativa è confermata anche dall’approfondimento fatto dalla ricerca sulla possibilità di riscattare o avere anticipi di capitale sui capitali investiti in un fondo pensione, sul beneficio fiscale rappresentato dalla deducibilità dei contributi versati fino al limite dei 5.164,57 euro annui, sulla possibilità di adesione anche per i minori. Argomenti giudicati di interesse dalla grande maggioranza degli intervistati ma conosciuti solo da una sparuta minoranza. In particolare, solo due italiani su dieci, secondo il campione intervistato nell’analisi, è a conoscenza della possibilità di riavere indietro tutto o parte del capitale accumulato per la previdenza integrativa mentre meno della metà sanno che si possono dedurre i contributi e il 70%, tra i bancarizzati, non sa che anche i minori possono essere iscritti.


Come favorire l’adesione alla previdenza integrativa in 5 punti
Finora lo Stato non ha fatto la sua parte nell’educare gli italiani alla previdenza. Sono concordi tutti gli intervenuti all’evento organizzato da Anima Sgr. Per Alberto Brambilla “lo Stato deve iniziare a parlarne nelle scuole, organizzare dei corsi, dovrebbe fare formazione. Tuttavia il ruolo principale è quello dei consulenti finanziari”. Sergio Corbello aggiunge che “il consulente finanziario deve anche indirizzare il cliente verso la linea adeguata in relazione alla sua età, agli anni di accumulo che rimangono prima della pensione. Deve farsi carico delle necessità del cliente che sta seguendo. Non deve essere un venditore di prodotti ma occuparsi di fare una pianificazione completa e multisettoriale”. Un tema ripreso da Filippo Correnti: “Il cliente ha bisogno di un consulente, di uno specialista e di una persona con cui confrontarsi. Noi effettuiamo formazione in presenza e a distanza, presso gli uffici di reti e consulenti finanziari. Inoltre ci confrontiamo ogni giorno con i consulenti per arrivare a trovare le soluzioni ottimali. Nel sito di Anima Sgr è presente anche un’area premium per i professionisti”.
In termini pratici, secondo il presidente di AssoPrevidenza, Sergio Corbello, per favorire l’aumento delle adesioni alla previdenza integrativa bisognerebbe:
- prestare attenzione alle Pmi. Tantissime sono al di fuori della previdenza complementare. Le aziende con venti dipendenti o meno vengono trascurate da chi fa previdenza integrativa perché so pensa che non valga la pena. Tuttavia, in aggregato, le piccole e medie imprese rappresentano uno spazio di crescita ineguagliabile per la previdenza integrativa. E lo stesso vale per gli autonomi e i professionisti;
- intervenire sul trattamento fiscale che oggi penalizza i fondi pensione. In particolare bisognerebbe eliminare la tassazione annua sul maturato per sostituirla con un prelievo unico al riscatto. Corbello non interverrebbe invece con un aumento della detraibilità dei contributi: “In media i partecipanti alla previdenza integrativa rimangono ben al di sotto di tale soglia. Un intervento in questa direzione solleverebbe un’accusa di voler favorire i più benestanti;
- fare educazione finanziaria. Lo Stato deve fare la sua parte ma sono i consulenti finanziari ad avere in mano le carte più importanti da giocare, anche con i loro clienti che sono già iscritti alla previdenza complementare;
- reinserire il fondo di garanzia per le imprese, che permetteva di finanziarsi a tassi molto bassi e aveva il compito di sostituire il Tfr versato alla previdenza integrativa, da sempre una fonte di circolante per le aziende;
- potrebbe infine aiutare un nuovo periodo di silenzio-assenso.