La sfida della transizione energetica: portare l’economia mondiale alla decarbonizzazione totale entro il 2050 sarà un’operazione molto difficile e che costerà 275.000 miliardi di dollari, ma alla fine potrà creare delle grandi opportunità per aziende e interi settori. È questo il risultato di un rapporto pubblicato dalla società di consulenza gestionale McKinsey, che mette in luce anche come per la metà del secolo la transizione verso un mondo più pulito consentirà la creazione di 15 milioni di nuovi posti di lavoro. Le opportunità deriverebbero da 3 aree: le acciaierie da cui dovrebbe partire il processo di decarbonizzazione dell’attuale produzione; le auto elettriche e i parchi eolici o solari grazie ai quali è possibile realizzare nuovi prodotti a basse emissioni; le batterie, le stazioni di ricarica e i pannelli solari a supporto delle altre 2 aree.
Il senior partner McKinsey e Director del McKinsey Global Institute, Marco Piccitto, spiega che la transizione ordinata verso forme di energia più pulita porterebbe considerevoli benefici, oltre a scongiurare gli effetti nefasti del cambiamento climatico. Ad esempio abbasserebbe i costi dell’energia, conserverebbe meglio il capitale naturale e migliorerebbe le condizioni di salute della popolazione mondiale. Ovviamente sarebbero anche alti i rischi di una transizione gestita male o non gestita affatto.
Transizione energetica: i 7 punti chiave
Entrando nel dettaglio del rapporto è possibile scorgere 7 punti chiave che coinvolgono 69 Paesi di tutto il mondo. Il primo riguarda l’universalità della transizione, nel senso che abbraccia tutti i settori economici e i Paesi, interessati dalle modifiche nei sistemi energetici e nell’utilizzo del suolo che generano emissioni.
Il secondo concerne la portata della trasformazione economica. Come accennato, gli investimenti in asset orientati all’energia verde ammonteranno a 275.000 miliardi di dollari, corrispondenti al 7,5% del PIL mondiale, entro il 2050. Ciò significa qualcosa come 9.200 miliardi di dollari l’anno, ovvero 3.500 miliardi di dollari in più rispetto al livello attuale di spesa. Per dare un’idea del cambiamento, in questo momento il 65% della spesa per l’energia è indirizzata a prodotti ad alte emissioni di carbonio; nella metà del secolo il 70% invece sarà orientata verso prodotti a basse emissione.
Il terzo punto fa riferimento alla ricollocazione della forza lavoro. Le previsioni sono di una creazione di 15 milioni di nuovi posti per il 2050, come risultante dell’aggiunta di 200 milioni di unità e della perdita o riqualificazione di 185 milioni di posizioni.
Il quarto punto si basa sulla spesa, che sarà determinante nella prima fase della transizione. Essa potrebbe salire dal 6,8% del PIL attuale all’8,8% tra il 2026 e il 2030, per poi scendere nuovamente.
Il quinto punto si basa sull’impatto nei vari settori o Paesi che potrebbe divergere a seconda di vari fattori, come ad esempio il reddito, l’esposizione a prodotti e attività ad alte emissioni e le riserve abbondanti di combustibili fossili. Al momento i settori più esposti costituiscono il 20% del PIL globale, mentre i settori più inquinanti il 10%.
Il sesto punto allude al modo in cui la transizione energetica avrà luogo. Se essa non viene effettuata in maniera ordinata o verrà gestita male, le conseguenze potrebbero essere disastrose per l’offerta di energia e per i prezzi.
L’ultimo punto comprende quali aggiustamenti economici occorrerà fare in modo da arrivare all’obiettivo di carbon neutral. Se la transizione avverrà in maniera coordinata, ci sarebbero benefici per tutti e si formerebbero delle aree di crescita con nuovi mercati per prodotti a basso contenuto di CO2.