L’Istat ha reso noto ieri il dato sull’inflazione in Italia nel mese di dicembre e ha certificato l’entità dell’impoverimento delle famiglie del Belpaese. Il dato di crescita media si è attestato all’8,1%, segnando l’aumento più ampio dal 1985 quando fu del +9,2%. Rispetto al dicembre 2021, invece, il potere di acquisto degli italiani si è ridotto dell’11,6%, solo lo 0,2% in meno del mese precedente. Se può essere magra consolazione, c’è chi è messo peggio.
Italia prima per inflazione tra i paesi del G7
Il dato congiunturale di inflazione di dicembre (+11,6%) colloca l’Italia al ventottesimo posto al mondo tra i paesi che hanno registrato un aumento dei prezzi al consumo. La stessa posizione occupata dal Nicaragua con una variazione identica. Tra i paesi del G7 l’Italia è risultata essere la nazione con il maggiore differenziale di prezzi tra dicembre 2022 e dicembre 2021, seguita dalla Gran Bretagna con +10,7%, dalla Germania con +9,6%, dal Canada con +6,8%, dall’Unione europea con un dato medio a +6,5%, dalla Francia a +5,9% e dal Giappone a +4%. All’interno dell’area euro il paese con l’incremento dei prezzi al consumo più elevato è l’Estonia (+17,6%). Segue la Slovacchia con +15,4% davanti all’Italia.
Il netto stacco tra i primi tre paesi del G7, in termini di inflazione, mette in luce quanto abbiano impattato sulle tasche dei consumatori i prezzi dell’energia e in particolare del gas naturale. Il future TTF di Amsterdam (qui cos’è e come funziona) ha toccato un massimo il 26 agosto a 342,864 euro per megawatt/ora. Oggi la quotazione è scesa sotto i 60 euro ma gli effetti degli aumenti precedenti si sono abbattuti sui consumatori attraverso l’incremento delle bollette energetiche, l’aumento dei prezzi delle merci in virtù della crescita dei costi di produzione e di trasporto, la salita delle spese per la mobilità. A limitare i danni sono stati i paesi meno dipendenti dal gas naturale e dal petrolio russo e che hanno scelto di diversificare la produzione di energia con fonti alternative. La Francia, per esempio, che deriva tra il 20 e il 30% della sua elettricità dalle centrali nucleari.
Dove domina l’iperinflazione
C’è chi sta molto peggio dell’Italia. Ai vertici della classifica si trovano nazioni caratterizzate da forte instabilità politica e difficoltà di bilancio rilevanti. Il record dell’iperinflazione nel 2022 se lo è aggiudicato lo Zimbabwe dove i prezzi sono cresciuti del 339,7% tra il settembre 2021 e il settembre 2022. In seconda posizione è il Venezuela che prima della sospensione della comunicazione dei dati decisa dal governo ha registrato una salita dei prezzi al consumo del 155,6% tra ottobre 2021 e ottobre 2022. In terza posizione arriva il Libano, altra nazione ad alto tasso di instabilità, con +142,4%.
Sono percentuali che fanno impallidire l’Argentina, al quarto posto con un incremento dei prezzi del 94,8% su base annua (da dicembre a dicembre). La Turchia è quinta con un aumento dell’84,4%. Ankara sconta le politiche monetarie del presidente Recep Tayyip Erdogan che ha imposto alla Banca centrale del paese un abbassamento dei tassi di interesse nonostante il forte incremento dei prezzi al consumo. Nel corso dell’anno la Banca centrale turca ha abbassato i tassi di ben 5 punti percentuali, in controtendenza rispetto agli altri istituti centrali.
Dove l’inflazione è bassa
In fondo alla speciale classifica sulla crescita dei prezzi al consumo, messo da parte il caso particolare dell’Armenia (-91,3%), spicca la presenza della Cina che nel 2022 ha registrato un incremento dei prezzi al consumo dell’1,8%. La Svizzera ha limitato i danni con +2,8% così come l’Arabia Saudita (+2,9%).