Il dibattito su cosa farà quest’anno la Fed sul tema dei tassi d’interesse si fa ogni giorno più vivo alla luce dei fatti che si concatenano nello scenario politico-economico internazionale. La tendenza che ha preso piede negli ultimi tempi è che la Federal Reserve possa arrivare fino a 7 strette entro il 2022, per effetto di un’inflazione che tarda a raggiungere il picco e che nel mese di gennaio è arrivata al 7,5%, livello più alto da 40 anni.
Sono ancora tanti però i fattori che vanno considerati, come ad esempio il pericolo recessione se Jerome Powell dovesse forzare la mano oltremisura. Lo scenario geopolitico, con la Russia che potrebbe invadere l’Ucraina, rappresenta una mina vagante i cui effetti dovranno essere definiti ma che non promettono nulla di buono. E sullo sfondo vi è sempre la questione relativa alla pandemia, che dà l’impressione di avviarsi alla conclusione di questa brutta storia ma che ancora non è del tutto sconfitta.
Quanto verrà deciso dalla Fed sarà di importanza cruciale per i mercati, che hanno sofferto molto in questi mesi il cambio di atteggiamento di Washington, votato a una politica monetaria aggressiva. Per questo il FOMC dovrà tenere in considerazione anche quali saranno gli effetti finanziari di un’austerità che non si conosce da parecchio tempo.
Fed: ci saranno 7 aumenti dei tassi?
Sull’argomento si è espresso anche Marco Oprandi, Head of Cross Asset Solutions, che rimane convinto che alla fine gli aumenti del costo del denaro saranno 7 in questo 2022, per almeno 25 punti base ad ogni incontro, con il tasso ufficiale di sconto che a fine anno arriverà all’1,75%. La ragione è dettata dal fatto che nei prossimi mesi l’inflazione continuerà a correre, facendo fatica a raggiungere il picco tanto atteso dalla Fed.
Fino a gennaio 2022 il mercato si aspettava solo 4 incrementi dei tassi, uno ogni 3 mesi a cominciare da marzo; adesso si parte da un minimo di 5, sottolinea Oprandi. L’esperto evidenzia anche come il mercato si aspetti che a marzo il ritocco sul costo del denaro sarà di mezzo punto percentuale in considerazione di alcune stime che alla fine dell’anno saranno superiori al target inflazionistico della Fed, come ad esempio il CPI index al 4% e il Personal Consumption Expenditure al 3%. Questo sarebbe il primo incremento di 50 punti base all’inizio di un periodo restrittivo e da maggio 2000, ma per il manager di Cross Asset Solutions non avverrà in quanto non contemplato dal FOMC.
Fed: sui tassi ancora vi è disaccordo
All’interno della Fed comunque vi è una certa spaccatura, tra falchi che vorrebbero essere più aggressivi e colombe che invece temono una recessione in caso di correzione violenta. All’inizio di questa settimana il Presidente della Fed di St.Louis, James Bullard, ha affermato che l’istituto centrale deve accelerare sui tassi per contenere l’inflazione, anche perché ne vale la credibilità della Banca Centrale agli occhi dei mercati.
Il problema è che sul mercato dei titoli di Stato si avvertono già segnali preoccupanti che potrebbero prefigurare una decelerazione della crescita economica. Infatti la curva dei tassi sta tendendo ad appiattirsi, con lo spread tra i T-Note a 10 anni e quelli a 2 anni sceso sotto i 45 punti base. Gli investitori stanno percependo che le condizioni finanziarie tenderanno rapidamente a irrigidirsi, con riflessi non proprio confortanti sul piano economico.
I prossimi dati in arrivo su inflazione, disoccupazione e crescita saranno monitorati con molta attenzione dai funzionari della Fed, per testare il timing di intervento in una situazione che oggi appare più delicata che mai.