Fed al raddoppio del tapering. Jerome Powell ha dato la conferma che tutti si aspettavano durante la conferenza stampa al termine della riunione di 2 giorni della Federal Reserve conclusasi mercoledì 15 dicembre: l’inflazione sarà duratura e questo pone le basi per un rialzo dei tassi d’interesse. Tuttavia, questo si dovrà conciliare con gli obiettivi sulla piena occupazione, che per il Governatore potrebbero essere raggiunti presto. Nei 3 mesi terminati a novembre il tasso di disoccupazione è sceso al 4,2% dal 5,2%, ma ancora ci sono 3,9 milioni di americani che non lavorano rispetto a febbraio del 2020, prima che scoppiasse la pandemia.
Ad ogni modo la crescita sostenuta dei prezzi rappresenta un problema. Nelle proiezioni economiche pubblicate ieri, la Fed prevede un indice dei prezzi al consumo del 4,4% alla fine di quest’anno, del 2,7% nel 2023 e del 2,1% entro la fine del 2024. Stime queste che sono in deciso aumento rispetto a quanto rilasciato in precedenza e che sono il frutto di un forte aumento della domanda di beni di consumo, dell’interruzione della catena degli approvvigionamenti e del rimbalzo dei viaggi con la riapertura delle attività economiche. Questo ha determinato la risalita anche di salari e affitti, che costituiscono altri 2 elementi chiave capaci di far lievitare i prezzi.
Fed: 3 rialzi dei tassi nel 2022?
La domanda che ora si pongono tutti gli osservatori di mercato è che cosa realmente farà la Fed il prossimo anno. Davanti ai giornalisti, Powell ha detto che l’istituto centrale sarà in grado di aumentare il costo del denaro come e quando lo ritiene opportuno, nonché di farlo nella misura appropriata.
La maggior parte dei funzionari della Banca ha previsto che il prossimo anno si assisterà a 3 rialzi di un quarto di punto ciascuno, con inizio probabilmente nella primavera. Altri 3 aumenti sono stimati per il 2023 e 2 nel 2024. Solo 3 mesi fa le stesse persone ritenevano che prima del 2023 qualsiasi ritocco sarebbe stato ingiustificato, perché le pressioni sull’inflazione erano causate da strozzature nella catena degli approvvigionamenti che si sarebbero allentate da sole.
Da quando però sono stati rilasciati i dati sul carovita di novembre che hanno riportato di un’inflazione al 6,8%, come mai si era vista dal 1982, allora tutto è cambiato. Jerome Powell davanti al Congresso degli Stati Uniti ha modificato le prospettive eliminando dal vocabolario della Fed la parola “transitoria” con riferimento all’inflazione. E questa infatti ha fatto tutta la differenza del mondo, come si è visto.
Adesso quindi è probabile che da marzo arrivi il primo innalzamento del costo del denaro e un segnale giunge dalla decisione di accelerare sul tapering a partire dal prossimo mese. Infatti, non vi sarà più un taglio di 15 miliardi di dollari al mese sul piano di acquisti di titoli pubblici e privati, ma la riduzione verrà portata a 30 miliardi mensili. Questo verosimilmente significa che l’allentamento monetario terminerà proprio a marzo e non a giugno come precedentemente previsto. Di conseguenza Powell potrebbe star preparando il terreno per iniziare una sequela di rialzi proprio a partire dalla conclusione dell’allentamento monetario.
Le reazioni di mercati ed economisti a decisioni Banca Centrale USA
Le reazioni dei mercati alle mosse della Fed sono state positive, anche perché la maggior parte delle tensioni su una stretta monetaria dell’istituto a stelle e strisce erano già state abbondantemente scontate. L’S&P 500 ha chiuso la seduta con un rialzo dell’1,63%, a un livello che punta nuovamente i record storici. Il Dow Jones è salito dell’1,08%, mentre ancora meglio ha fatto il NASDAQ-100 con una performance del 2,15%.
Gli analisti sembrano d’accordo sul fatto che ci siano pochi dubbi su un inasprimento sui tassi l’anno prossimo. Michael Gapen, economista americano di Barclays, è convinto che la Fed intervenga già a marzo per il fatto che altrimenti non ci sarebbe alcuna ragione per velocizzare il tapering.
Laurence Meyer, un ex Governatore della Fed, ora Presidente della società di consulenza e ricerca Monetary Policy Analytics, ha dichiarato che la Banca Centrale USA vuole assicurarsi che la situazione non sfugga di mano, non tanto dal lato dell’offerta ma quanto da quello della domanda. Per questo motivo Washington avrebbe ritenuto opportuno agire presto e più velocemente.
Per William English, ex economista senior della Fed, ora professore alla Yale School of Management, i funzionari della Fed stanno cercando di bilanciare tra 2 rischi opposti: uno quello di un rallentamento dell’economia con una stretta sulla politica monetaria e un altro quello derivante da un’inflazione alta che porta famiglie e imprese ad alzare le aspettative sui prezzi, con la conseguenza di una spirale pericolosa riguardo anche i salari.