Tempi duri per le azioni nei mercati globali. Secondo uno studio di Bank of America, nella settimana fino al 22 febbraio, i fondi azionari hanno registrato 7 miliardi di dollari di deflussi, quasi il doppio rispetto a quelli dei fondi liquidi a -3,8 miliardi di dollari. Il tutto a vantaggio dei fondi obbligazionari che hanno attirato afflussi di 4,9 miliardi di dollari segnando l’ottava settimana consecutiva di crescita e la striscia più lunga da novembre 2021.
On base all’allocazione geografica, i fondi azionari dei mercati emergenti hanno attirato denaro per 2,1 miliardi di dollari, mentre dalle azioni statunitensi sono fuoriusciti circa 9 miliardi di dollari. Tra i settori, sono stati energia, materiali e finanziari a riportare i maggiori deflussi, mentre i più corposi incrementi si sono visti tre le azioni value e la small cap.
Come si spiegano questi dati
Questi dati possono spiegarsi con una nuova salita dell’avversione al rischio da parte degli investitori che temono una Federal Reserve più aggressiva sul fronte tassi d’interesse di quanto si pensasse qualche settimana fa. Il mercato ha ignorato per mesi i costanti avvertimenti da parte dei funzionari della Banca centrale statunitense sulla difficoltà di sconfiggere l’inflazione e la necessità di mantenere tassi alti più a lungo.
Gli operatori si erano cullati sul raffreddamento del carovita negli ultimi mesi ma sono stati messi di fronte alla realtà in pochi giorni. Infatti, dapprima l’inflazione generale è scesa meno di quanto previsto dagli analisti e poi, sul finire della scorsa settimana, i dati sull’IPC core Usa sono stati una vera doccia gelata. Quest’ultimo parametro, che riguarda l’inflazione depurata dalle componenti variabili di energia e beni alimentari, è il principale tenuto in considerazione dalla Fed per decidere la sua politica monetaria. E venerdì scorso l’PC core è salito del 5,6% su base annuale, dal 5,3% del mese scorso, ma soprattutto rispetto a un calo al 5% atteso dal consensus.
Azioni: previsti cali con la Fed più aggressiva
Quanto accaduto negli ultimi tempi avvalora l’ipotesi che pochi giorni fa i governatori della Fed di Cleveland e St.Louis, Loretta Mester e James Bullard, hanno lanciato circa un ritorno all’aumento di 50 punti base del costo del denaro nella prossima riunione di marzo. Il dibattito interno all’istituto guidato da Jerome Powell si sta sbilanciando a favore dei falchi della Banca, che vorrebbero mantenere alta la guardia nei confronti dell’inflazione.
La resilienza dell’economia americana, che sfodera un mercato del lavoro in gran forma, potrebbe incoraggiare la Fed a proseguire verso la strada dell’inasprimento, mettendo ulteriormente sotto pressione le azioni americane. Il capo stratega di BofA, Michael Hartnett, ha ribadito la sua previsione sull’S&P 500 a 3.800 punti entro l’8 marzo, il che comporta ulteriori cali rispetto all’ultima chiusura. Il pronostico dello stratega è sostenuto dalle aspettative che una crescita resiliente nella prima metà dell’anno coinciderà con tassi di interesse più elevati e porterà a un rallentamento economico più marcato nella seconda metà.