Petrolio: ecco perché la guerra in Israele non riprodurrà lo shock del 1973 - Borsa&Finanza

Petrolio: ecco perché la guerra in Israele non riprodurrà lo shock del 1973

Petrolio: ecco perché la guerra in Israele non riprodurrà lo shock del 1973

La guerra in Israele, dopo gli attacchi dei militanti di Hamas, evoca il ricordo dello shock del petrolio del 1973, quando Gerusalemme fu teatro di scontri con Egitto e Siria. Allora gli Stati Uniti presero le difese di Israele scatenando la reazione imprevista dell’OPEC. Il cartello dei paesi esportatori di greggio bloccò le forniture verso l’Occidente, provocando la più grave crisi petrolifera della storia e portando il prezzo del petrolio a quadruplicare di valore in poco tempo. Cinquant’anni dopo lo scenario potrebbe riproporsi visto che anche in questa circostanza i paesi occidentali, con gli Stati Uniti in testa, stanno facendo quadrato intorno a Israele prendendo nette posizioni contro gli efferati crimini commessi dai terroristi di Hamas.

 

Petrolio: ecco perché non sarà come nel 1973

Le quotazioni del petrolio non hanno finora avuto grossi scossoni. Da quando è stato perpetrato l’attacco dalla striscia di Gaza nell’ultimo fine settimana, l’oro nero è salito di circa il 4%. Niente di preoccupante. Oggi rispetto a 50 anni fa ci sono delle differenze profonde. Innanzitutto Israele non è un grande produttore di petrolio, quindi non c’è il rischio che il conflitto porti a un’interruzione delle forniture. Ancora più importante è che l’OPEC oggi non ha interesse ad attuare la stessa politica di allora. Ci si aspetta che Arabia Saudita e alleati si astengano dal prendere posizioni che possano favorire Hamas.

Un’altra motivazione per cui lo scenario oggi è diverso da 50 anni fa risiede nel fatto che le prospettive per la domanda di greggio sono nettamente cambiate. Negli anni ’70 il consumo era in aumento e i paesi produttori disponevano di una capacità aggiuntiva limitata. Ora la domanda, pur se a livelli record non ha tassi di crescita in accelerazione anche grazie alla transizione energetica in atto. Infatti, il rally dei prezzi del petrolio iniziato nella primavera del 2022 è stato il risultato di un taglio dell’offerta da parte di alcuni big come Russia e Arabia Saudita e non di un incremento della domanda. Per giunta, se altri paesi dovessero tagliare l’offerta facendo crescere le quotazioni non è escluso che Riad innalzi la sua produzione fino al 3%, corrispondente a 3 milioni di barili al giorno.

Infine non bisogna trascurare il fatto che all’epoca gli Stati Uniti non avevano l’indipendenza energetica che hanno raggiunto nel 2005 sfruttando il petrolio di scisto. Nel complesso la domanda di petrolio oggi non risulta essere la stessa di quella di cinque decenni orsono.

 

La variabile Iran

La situazione potrebbe complicarsi se subentrasse un altro fattore, il coinvolgimento diretto dell’Iran negli attacchi a Israele. In questo scenario gli Stati Uniti potrebbero decidere di appesantire le sanzioni contro Teheran che avevano allentato nell’ultimo anno per ridurre la pressione sui mercati petroliferi. Soprattutto come si porrebbe l’OPEC, di cui l’Iran fa parte, di fronte a una partecipazione iraniana al conflitto? Difficile pensare a strette come quelle del 1973 ma di certo le quotazioni del petrolio potrebbero avere sussulti indesiderati in un periodo in cui il mondo ancora è alle prese con un’inflazione insidiosa.

AUTORE

Johnny Zotti

Johnny Zotti

Laureato in economia, con specializzazione in finanza. Appassionato di mercati finanziari, svolge la professione di trader dal 2009 investendo su tutti gli strumenti finanziari. Scrive quotidianamente articoli di economia, politica e finanza.

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