Il divario tra titoli di Stato USA ed europei si è accorciato in termini di rendimento. All’inizio del mese di maggio lo spread T-Note USA e Bund tedeschi a 10 anni era arrivato fino al 2%, mentre adesso si ritrova all’1,7%. Tenuto conto dell’inflazione, la riduzione è ancora più marcata, perché negli Stati Uniti l’indice dei prezzi al consumo ha corso di meno rispetto alla zona Euro. Pertanto i rendimenti reali ora presentano una differenza di quasi 0,70 punti percentuali.
Cosa è cambiato nel frattempo? Gli investitori stanno scontando il fatto che la Federal Reserve non aumenterà i tassi d’interesse oltre il limite attuale di 50 punti base. Quindi, qualsiasi ipotesi di stretta di 75 basis point nei prossimi incontri non sono attese dal mercato. Se dalla Banca Centrale americana non si attende una maggiore aggressività, dalla BCE invece si teme che a partire da luglio ci sarà una maggiore normalizzazione della politica monetaria.
L’inflazione europea è cresciuta oltre le aspettative. L’ICP ha raggiunto l’8,1% a maggio, cifra più alta mai registrata dall’EUROSTAT da quando l’indicatore è stato pubblicato per la prima volta nel gennaio del 1997. All’interno del Board dell’Eurotower la contesa tra falchi e colombe si sta risolvendo a favore dei primi e anche le anime più conservative dell’istituto monetario sembrano propendere per abbandonare l’atteggiamento estremamente accomodante che la Banca ha avuto finora.
Spread rendimenti titoli di Stato USA-Europa: 4 fattori che incidono in futuro
Come si evolverà lo spread tra i rendimenti dei titoli di Stato delle 2 sponde dell’Atlantico dipenderà da una serie di fattori. Innanzitutto, la questione dell’evoluzione della guerra Russia-Ucraina. I prezzi energetici rischiano di andare fuori controllo quanto più il conflitto si inasprisce e si infittiscono sanzioni e limitazioni dell’offerta. Questo inevitabilmente porta l’Europa a dover intervenire sul fronte tassi per cercare di arginare un’inflazione crescente, almeno fino a quando fonti di energia alternative non riescono a compensare l’allontanamento dalle risorse energetiche di Mosca. La conseguenza sarebbe che il divario di rendimento tra titoli di Stato tende a restringersi.
Un altro fattore che incide notevolmente riguarda la politica fiscale. In Europa finora si è temuta la stagflazione meno rispetto agli Stati Uniti, ma le cose potrebbero cambiare perché Bruxelles è rimasta terribilmente scottata dall’impatto che ha generato la pandemia sulla crescita dell’Eurozona. Quindi, vi potrà essere una certa resistenza ad abbandonare i piani di allentamento fiscale che sono stati attuati dopo l’arrivo del Covid-19. Ciò determinerebbe un freno notevole al ridimensionamento dello spread.
Un terzo aspetto da considerare concerne la transizione climatica, verso cui l’Europa mostra maggiore attenzione rispetto agli Stati Uniti o quantomeno una maggiore determinazione ad agire. La cosa comporta il rischio di un aumento ulteriore dei prezzi dell’energia non green nell’UE, ossia di inflazione che porta il gruppo dei 27 a reagire in modo più aggressivo. Questo terzo fattore farebbe propendere per una riduzione ulteriore dello spread.
Infine vi è un quarto argomento a favore del restringimento del divario dei rendimenti tra titoli di Stato tra americani ed europei, ovvero la dinamica salariale. Mentre Washington comincia a vedere un rallentamento delle pressioni sui salari, l’Unione Europea invece sta vivendo una fase di riorganizzazione del mercato del lavoro, il che potrebbe comprendere una ripresa importante delle buste paga dei dipendenti.