Le azioni tech stanno correndo un grave rischio in questo momento a Wall Street. La tensione è cresciuta nei mercati con la visita del Presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan, che potrebbe innescare una qualche reazione della Cina. L’ultima volta che un personaggio politico illustre ha visitato l’isola è stato il Repubblicano Newt Gingrich nel 1997 e adesso Pechino vede il ripetersi dell’atto come una provocazione, a cui ha minacciato di rispondere duramente.
Secondo il grande investitore Ray Dalio, Taiwan potrebbe rappresentare l’innesco nei prossimi anni di una guerra tra Stati Uniti e Cina, che a suo avviso ha una probabilità che si verifichi del 30%. Già paventare una possibilità di questa portata potrebbe essere spaventoso per i mercati azionari, oltre ovviamente per le derive di natura geopolitica e per le questioni umane. Anche perché il mondo e i mercati sono già provati dalla guerra Russia-Ucraina e un altro conflitto bellico sarebbe difficile da sopportare.
Azioni tech: come verrebbero colpite da una crisi a Taiwan
Ma perché Taiwan è così importante per le azioni tech? L’isola a 180 km dalla Cina è il luogo dove viene prodotta la quasi totalità dei chip avanzati a livello mondiale. Secondo un rapporto della Semiconductor Industry Association e del Boston Consulting Group del 2021, il 90% dei semiconduttori sono fabbricati a Taiwan, l’8% in Corea del Sud e il resto è sparso tra gli altri Paesi.
Il più grande produttore è il colosso Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, che l’anno scorso ha realizzato un fatturato complessivo di 57 miliardi di dollari. Il gigante taiwanese fornisce i dispositivi per aziende come Apple, Qualcomm e Advanced Micro Devices. Se dovesse scoppiare un conflitto militare a Taiwan, ci sarebbe il rischio di congelamento di tutta la produzione dell’azienda, con effetti catastrofici su tutta la catena di approvvigionamento per le imprese che si riforniscono.
Nel fine settimana, il Presidente di TSMC Mark Liu ha affermato che, nel caso si dovesse verificare un’eventualità così tragica, vi sarebbe una “distruzione dell’ordine basato sul mondo, con il panorama geopolitico che verrebbe totalmente cambiato”. Il riflesso sarebbe non solo a livello di approvvigionamento. Tutte le principali aziende tech americane che producono chip come Nvidia, Intel, AMD e Qualcomm hanno una forte esposizione in Cina riguardo le vendite. Quindi, una guerra stravolgerebbe totalmente le modalità attraverso cui le aziende si affacciano ai mercati.
Chip: come si stanno muovendo gli USA
Al riguardo, gli Stati Uniti stanno cercando di correre ai ripari e la scorsa settimana il Congresso USA ha approvato il Chips and Science Act, che prevede investimenti per oltre 50 miliardi di dollari per la produzione e la ricerca di semiconduttori nel territorio americano. Questo potrebbe essere un passo importante verso la nazionalizzazione di un bene così importante, ma ora che gli impianti statunitensi entrino in azione ci vorranno anni, anche perché i sussidi sono spalmati nell’arco di un quinquennio. Inoltre, l’impianto da 12 miliardi di dollari di TSMC in Arizona non sarà operativo prima del 2024. E poi vi è un problema di costi, perché sarà molto poco probabile che l’azienda taiwanese riesca a produrre i chip in maniera altrettanto economica di come fa in Asia.