Il fallimento di SVB, seguita da Signature nello stesso destino, ha scoperchiato il vaso di pandora degli effetti dei rialzi dei tassi di interesse sui portafogli di asset detenuti dalle banche USA. Le istituzioni finanziarie impegnano i depositi dei loro clienti nelle tipiche attività di erogazione di mutui, acquisto di titoli governativi, prestiti. Attività a basso rischio ma che il poderoso rialzo dei tassi di interesse operato dalle Banche centrali per contrastare l’inflazione ha trasformato in perdite potenziali.
SVB ha chiuso i battenti dopo aver ceduto un portafoglio obbligazionario da 21 miliardi di dollari, incassando una perdita di 1,8 miliardi di dollari (-8,6%). su titoli di Stato USA a lunga scadenza. Una perdita che da potenziale è diventata reale nel momento in cui la banca è stata costretta a cedere gli asset per far fronte alle richieste di liquidazione da parte dei suoi clienti. Potrebbe accadere anche ad altre banche? La risposta è sì, visto che tutte hanno perdite potenziali sui portafogli di titoli obbligazionari il cui valore è caduto con il rialzo dei tassi di interesse. Tuttavia, fino a quando non saranno costrette a vendere questi asset, le perdite rimarranno solo teoriche e, trattandosi di attività a basso rischio, non dovrebbero creare problemi.
Una bomba da 620 miliardi di dollari per le banche USA
Anche se la sua esplosione è solo potenziale, la bomba su cui è seduto il sistema delle banche USA ha dimensioni importanti. Secondo le stime della FDC – la Federal Deposit Insurance Corporation – si tratta di 620 miliardi di dollari di perdite mark to market, ossia valutando questi asset ai valori di mercato. È una cifra rilevante ma Mark Haefele, responsabile investimenti Global Wealth Management di UBS AG, ne precisa le dimensioni in relazione a tutto il sistema bancario americano: “Anche ipotizzando che queste perdite potenziali diventino reali, l’impatto sui capital ratio sarebbero gestibili. SVB era virtualmente l’unica banca statunitense con un patrimonio netto quasi negativo calcolando le perdite mark-to-market”.
Per Haefele, inoltre, quanto successo nella parte finale della settimana scorsa ha ridotto la cifra complessiva di perdite mark to market in conseguenza della discesa dei rendimenti dei titoli obbligazionari (a cui corrisponde un rialzo della loro valutazione). “Gli interventi della Fed, che ha messo a disposizione delle banche una linea di liquidità dovrebbe eliminare il rischio che altre perdite si realizzino” conclude Haefele.
La situazione per l’Europa
Anche le banche europee hanno il problema delle perdite potenziali delle attività obbligazionarie possedute. In media, secondo Goldman Sachs, la perdita mark to market si aggira attorno al miliardo di euro che, in termini di impatto sul Common equity Tier 1 ratio, ammonta a circa 30 punti base. Haefele sottolinea che si tratta di perdite potenziali che potrebbero divenire reali solo se l’istituto che possiede gli asset fosse costretto a venderli, come accaduto a SVB. Inoltre, a favore delle banche europee, Haefele cita la maggiore diversificazione dei portafogli clienti rispetto a quelli delle banche statunitensi, più concentrati sul settore tecnologico.
Niente panico, dunque, anche se il contagio potrebbe passare attraverso un ritiro di depositi nelle banche americane controllate da istituti europei. Una possibilità che viene presa in considerazione dagli analisti di Goldman Sachs ma con la consapevolezza che la quota è bassa rispetto al portafoglio clienti complessivo. “Il Banco Santander – scrivono in un report gli esperti del gruppo bancario USA – è la sola istituzione europea ad avere una significativa esposizione agli Stati Uniti con il 12% dei depositi totali”. Seguono HSBC con un’esposizione intorno all’8% e Barclays al 6% ma comprendendo anche l’America latina.