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Bitcoin: i miner fanno incetta di monete, ecco perché

Bitcoin: i miner fanno incetta di monete, ecco perché

I minatori di Bitcoin stanno accumulando monete per far fronte alla contrazione dei margini. Da novembre 2024, colossi del settore come Mara Holdings, Riot Platforms e CleanSpark hanno raccolto oltre 3,7 miliardi di dollari – soprattutto attraverso obbligazioni convertibili a cedola zero o quasi – per investirli in bitcoin. Nello specifico, Mara Holdings, il cui modello di business è diventato quello di accumulare quante più monete possibili, detiene quasi 45 mila bitcoin, per un valore equivalente a oltre 4,4 miliardi di dollari. Anche Hut 8 considera Bitcoin la base finanziaria del suo bilancio, a detta del suo amministratore delegato Asher Genoot. In pratica, tutte stanno seguendo l’iniziativa di MicroStrategy, il gruppo produttore di software che da diversi anni ha spostato il focus del business nell’acquisto della principale criptovaluta.

I miner hanno come obiettivo quello di creare un asset di riserva per le loro tesorerie aziendali, conservando tutte le nuove monete (sempre meno) che estraggono. In questo hanno preso slancio dalla promessa del neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump di voler costituire una riserva strategica di bitcoin e fare degli USA la nazione in cui verranno estratti tutti i bitcoin residui. “Questo Trump bump ci ha dato più slancio per continuare a investire negli Stati Uniti”, ha detto Fred Thiel, amministratore delegato di Mara Holdings.

 

Bitcoin: il problema dei costi energetici per i miner

Il motivo principale per cui i miner stanno facendo incetta di Bitcoin è legato ai profitti in calo rispetto agli anni passati. Con l’ultimo halving avvenuto ad aprile scorso, le ricompense per i minatori si sono dimezzate da 900 a 450 monete al giorno. In questo contesto, i costi energetici per elaborare i complessi algoritmi matematici sono cresciuti a dismisura. L’Energy information agency degli Stati Uniti stima che il mining utilizzi già il 2,3% della rete nazionale. Il gruppo di investimento CoinShares ha stimato un costo medio di 55.950 dollari per produrre un bitcoin nel terzo trimestre, in aumento del 13% su base trimestrale. Il punto è che, includendo l’ammortamento e le spese di compensazione basate su azioni, il costo per moneta sale a 106.000 dollari.

C’è da porsi quindi una domanda: cosa ne sarebbe stato dei miner se il prezzo della valuta digitale non fosse aumentato nella parte finale del 2024? Secondo James Butterfill, responsabile della ricerca di CoinShares, “un bel po’ di aziende sarebbero fallite“. Il problema rimane. Ancor più che i piani ambiziosi dei miner includono l’espansione dell’intelligenza artificiale, la quale richiede una quantità enorme di energia. Attualmente, il Bitcoin energy consumption index stima che il trading di bitcoin a circa 100.000 dollari utilizzi la stessa energia consumato ogni anno dalla Polonia. “La domanda di intelligenza artificiale negli Stati Uniti influenzerà notevolmente la quantità di bitcoin mining che può essere aggiunta alla rete”, ha affermato Russell Cann, chief development officer di Core Scientific, che ha previsto che la maggior parte della potenza di calcolo per bitcoin nei prossimi anni sarà al di fuori degli Stati Uniti. “Rimangono ancora sfide complesse per quanto riguarda la redditività e l’accesso alla rete”.

 

Quali soluzioni?

I minatori stanno cercando soluzioni per soddisfare la famelica richiesta di energia senza spendere uno sproposito o comunque restando redditizi. La scelta di Mara Holdings è quella di trasferire entro il 2028 il mining in aree che hanno un surplus energetico come Kenya, Emirati Arabi Uniti e Paraguay. Altri, come Hut 8, Core Scientific e Hive, hanno deciso di affittare la capacità dei loro data center agli hyperscaler di intelligenza artificiale per accrescere i loro ricavi e compensare gli alti costi energetici. “I prezzi di bitcoin in rialzo aiutano, ma se i prezzi dell’energia dovessero aumentare sarebbe comunque difficile per un miner di bitcoin, ha affermato Zach Bradford, amministratore delegato dell’estrattore di criptovalute quotato negli USA CleanSpark.

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