Il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) ha letteralmente sconvolto il sistema finanziario americano, con ripercussioni che potrebbero anche estendersi oltreoceano. Al punto che le autorità di regolamentazione USA hanno deciso un intervento massiccio a sostegno dei depositanti e delle banche per evitare una crisi sistemica dalle proporzioni inimmaginabili. Molti si stanno chiedendo cosa abbia realmente portato a una situazione del genere, soprattutto in un contesto in cui gli sforzi per assicurare la stabilità nel settore bancario si sono moltiplicati negli anni, dopo la grande crisi del 2008.
La SVB, in realtà, in molti aspetti è stata un’anomalia. Rivolgendosi essenzialmente alle startup tecnologiche, la banca californiana ha triplicato i depositi dal quarto trimestre 2019 alla fine del 2021 a 189 miliardi di dollari, secondo i dati di Autonomous Research. Il risultato è straordinario, se si pensa che nello stesso periodo la crescita media del settore è stata del 37%. Il problema però era che il 95% dei depositi SVB alla fine dello scorso anno non erano coperti da assicurazione, mentre una buona parte delle banche statunitensi avevano assicurato circa un terzo dei depositi. Nel contempo l’istituto finanziario di Santa Clara aveva investito in obbligazioni a lunga scadenza, in quanto i tassi di interesse erano schiacciati verso le zero e la banca cercava assets remunerativi.
L’aumento del costo del denaro da parte della Federal Reserve e del conseguente incremento dei rendimenti sul mercato ha posto le basi per la catastrofe. I depositanti hanno cominciato a ritirare i loro fondi in massa alla ricerca di rendimenti più adeguati, mentre il portafoglio obbligazionario di SVB ha perso rapidamente di valore essendo che tassi più alti fanno diminuire i prezzi dei titoli a reddito fisso. Alla fine del 2022, la banca aveva quasi 16 miliardi di dollari di perdite non realizzate. Il continuo deflusso dei depositi ha cristallizzato tali perdite, dal momento che l’azienda di credito ha dovuto vendere titoli per 21 miliardi di dollari per far fronte alle richieste di prelievo.
Crac SVB: 2 lezioni che insegna la storia
Cosa succederà ora? Difficile dire come reagirà il mercato nelle prossime settimane e soprattutto quale sarà il comportamento di depositanti e investitori delle banche, mentre ci si chiede se la fiducia che le autorità USA hanno cercato di trasmettere con il piano di emergenza alla fine sarà sufficiente. Se si fa riferimento ai fallimenti simili nella storia bancaria statunitense si possono trarre due importanti lezioni.
La prima è che le banche saranno molto sensibili alla fuga dei depositi e pagheranno per i finanziamenti, con l’inasprimento delle condizioni finanziarie. Tutto ciò significa che crescerà il beta dei depositi, ossia quanto dell’aumento dei tassi verrà trasferito nei conti dei clienti. Secondo gli analisti, finora il beta era arrivato al 40%, ma ora vi è la convinzione che potrebbe violare anche il livello del 55%-65%, quantomeno per quanto riguarda le banche meno forti. Questo comporta che gli interessi attivi netti delle banche saranno ridimensionati, il che potrebbe spingere molti istituti a rallentare i prestiti. Da tale situazione, le banche più attrezzate raccoglieranno i depositi in fuga, mentre le altre dovranno arrabattarsi rischiando una crisi di liquidità che solleciterebbe altre misure di emergenze a livello regolamentare.
La seconda lezione è che la Fed potrebbe cambiare la sua politica monetaria. Quando vi fu il fallimento di Continental Illinois nel 1984, l’allora presidente della Banca centrale statunitense Paul Volcker prese una posizione netta chiudendo lo spazio per qualsiasi restringimento, vista la situazione. Oggi Jerome Powell potrebbe fare lo stesso. Goldman Sachs prevede addirittura che nella prossima riunione del 21-22 marzo i tassi non saranno aumentati nemmeno di un quarto di punto percentuale, quando fino a pochi giorni fa il mercato cominciava a scontare addirittura una stretta di mezzo punto.