L’Europa rischia di rimanere a corto di diesel. La denuncia arriva da Torbjorn Tornqvist, Amministratore Delegato del gruppo Gunvor, multinazionale delle materie prime domiciliata a Cipro, ma con sede a Ginevra. Secondo Tornqvist, molte compagnie di navigazione, banche e acquirenti si stanno in pratica auto-sanzionando, dal momento che evitano i prodotti russi, dopo lo scoppio della guerra Russia-Ucraina.
Questo spinge le raffinerie russe a tagliare la produzione, rischiando di esacerbare il mercato europeo del diesel che già sta annaspando. In base ai dati di Energy Aspects, istituto di ricerca indipendente sull’energia, nel mese di marzo ci potrebbe essere una riduzione di 500 mila tonnellate di forniture di diesel russo, portando le scorte europee al livello più basso dal 2018.
La conseguenza di tutto questo è un aumento del prezzo del combustibile, come del resto si è visto nelle ultime settimane in Europa. Tonqvist ritiene che le raffinerie russe a questo punto si chiedano se esportare più petrolio greggio, ma visto che questo probabilmente non sarà possibile si verificherà un taglio alla produzione facendo aumentare le quotazioni a tutti i livelli.
Petrolio: l’Europa può staccarsi da Mosca?
Se l’Europa quindi ancora non ha messo un embargo sulle importazioni di petrolio, in pratica lo stanno facendo le compagnie che lo commerciano. Questo però potrebbe essere un percorso pericoloso e poco sostenibile. Tra benzina e diesel, l’Europa lo scorso anno ha pagato alla Russia circa 104 miliardi di dollari, più del doppio rispetto ai 43 miliardi di dollari che ha sborsato per il gas. Colpire Mosca sull’oro nero quindi avrebbe degli effetti molto più significativi, perché in pratica è con questo che Putin sta finanziando la guerra.
Il Vecchio Continente però è ancora terribilmente dipendente dalle forniture russe. L’80% del greggio che arriva in Slovacchia è di provenienza russa, mentre quasi il 70% del fabbisogno di Polonia, Lituania e Finlandia è soddisfatto grazie alle importazioni da Mosca. La Germania importa circa il 30% dei barili complessivi, mentre Regno Unito e Italia si attestano a una quota del 12%.
L’Europa quindi potrebbe fare a meno del petrolio russo? A negarlo decisamente è il Vicepremier russo Alexandr Novak, che ha riferito che se il greggio di provenienza siberiana e dell’Artico russo venisse rifiutato dal Vecchio Continente, i prezzi del petrolio potrebbero arrivare a 300 dollari al barile. Per questo a suo avviso è improbabile che Bruxelles opti per tagliare la sua dipendenza energetica da Mosca. Nel contempo Novak ha rassicurato l’Occidente sul fatto che la Russia non abbia alcuna intenzione di chiudere i rubinetti.
Petrolio: il pericolo Cina per l’Europa
Al di là delle parole del Vicepremier russo, un rischio effettivo per l’Europa è che i flussi di greggio vengano spostati verso Est, in particolare verso la Cina. In questo periodo è stato allestito un gruppo di lavoro in Russia e in Kazakistan per cercare di aumentare il transito in direzione Pechino, attuando una vera e proprie diversificazione dell’export di idrocarburi.
Mosca quindi sta cercando di cautelarsi di fronte a un eventuale quinto pacchetto di misure punitive da parte dell’Occidente. Se le contromosse attuate dal Cremlino dovessero funzionare, l’Europa in tal caso rischierebbe un suicidio perfetto se non riuscisse nel frattempo a trovare una soluzione alternativa. In questo la Gran Bretagna e gli Stati Uniti sarebbero molto più al riparo, dal momento che importano una quota esigua di prodotti energetici dalla Russia.